sabato 21 novembre 2009

IL LUPO E L'AGNELLO LUIGI TOSTI: STORIE DI ORDINARIA VESSAZIONE.






Per doverosa informazione di chi mi segue, pubblico qui di seguito la memoria che ho inoltrato a vari destinatari in risposta al tentativo di "sodomizzarmi", in sede disciplinare, con la pluricollaudata tecnica della favola del lupo e dell'agnello, ovverosia con la formulazione di false accuse e di falsi pretesti, architettati allo scopo di mantenere in piedi incolpazioni disciplinari che, altrimenti, crollerebbero.












Al Sostituto Procuratore Generale della Repubblica
Dott. Eduardo Scardaccione
Corte di Cassazione Suprema
Piazza Cavour
00193 R O M A

e, per conoscenza,
Al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
Piazzale Clodio n. 12
00165 R O M A


Alla Sezione disciplinare del CSM
Piazza Indipendenza 4
00185 R O M A

OGGETTO: Procedimenti disciplinari riuniti numeri 22/2005 e 37/2009 a carico dello scrivente Luigi Tosti.

Nell’ottobre-dicembre del 2003 ho più volte chiesto al Ministro di Giustizia di rimuovere i crocifissi dalle aule giudiziarie perché lesivo di un principio che la Corte Costituzionale ha definito e definisce “SUPREMO” della Costituzione italiana, cioè il principio di laicità, oltreché lesivo dei miei diritti inviolabili di libertà religiosa e di eguaglianza e non discriminazione religiosa, minacciando in caso contrario la mia astensione dalla trattazione delle udienze civili e penali per “libertà di coscienza”, e supportando la liceità del mio proposito di rifiuto con la decisione della Corte di Cassazione penale sez. IV 1.3.2000 n. 4273.
Il Ministro di Giustizia ha respinto queste mie richieste ed io, per puro senso civico, ho desistito dall’attuare la minaccia di astenermi dalla trattazione delle udienze sotto l’incombenza del crocifisso. Ho proposto, tuttavia, un ricorso giurisdizionale al TAR delle Marche, chiedendo che venissero rimossi i crocifissi o che, in subordine, l’amministrazione esponesse i simboli delle “razze inferiori” e, in particolare, del popolo ebraico che è stato sterminato, perseguitato, ghettizzato, ingiuriato e vilipeso per circa due millenni da un’associazione di criminali denominata Chiesa Cattolica e dai suoi accoliti nazisti e fascisti. Ho chiesto anche, in via di urgenza, che venissero emanati i provvedimenti urgenti tesi ad eliminare la criminale discriminazione razziale e religiosa perpetrata dal Ministro di Giustizia ai miei danni nell’ambiente di lavoro, preannunciando che, in caso contrario, mi sarei astenuto ad oltranza dal tenere le udienze. Il TAR ha negato i provvedimenti affermando apoditticamente che dal mio rifiuto “non sarebbe derivato pregiudizio grave e irreparabile”.
Per puro senso civico ho ancora una volta desistito dal dare attuazione al proposito di astenermi, ad oltranza, dal tenere le udienze sotto l’incombenza del criminale vessillo dell’associazione criminale sopra menzionata.
Nel frattempo, però, ho cominciato ad essere subissato da lettere minatorie ed oltraggiose inviatemi da anonimi criminali, accoliti di una setta religiosa denominata “cattolicesimo”, alcuni dei quali si profondevano in “eleganti” eloqui del tipo “crepa porco ateo terrorista, comunista bastardo, porco musulmano del cazzo con moglie troja”, “ti spediremo ad Allah, fai testamento, preferisci essere ucciso con ago intinto a veleno o con una pallottolina calibro 227 o 30-06 per cinghiale”, mentre altri “stigmatizzano” la mia pretesa di “affiancare al Cristo in croce il simbolo di coloro che ne erano stati carnefici” perché si trattava di “un sacrilegio che offendeva i cattolici e che esaltava un popolo che si era macchiato di deicidio”.
Posto di fronte a queste criminali lettere -alcune delle quali inviate anche al Ministro di Giustizia e al Presidente del Tribunale di Camerino per caldeggiare immediate procedure disciplinari a carico dello sporco ebreo- reagivo inoltrando al Ministro di Giustizia e al Presidente del Tribunale camerte, il 1° maggio 2005, una lettera-ultimatum con la quale preannunciavo che, ove non fossero stati rimossi tutti i crocifissi -o non fossi stato autorizzato ad esporre la menorà degli ebrei- mi sarei rifiutato di tenere le udienze civili e penali “DAL 9 MAGGIO 2005 IN POI”. Con tale missiva invitavo espressamente il mio superiore -cioè il Presidente del tribunale di Camerino dr. Aldo Alocchi- a provvedere alla mia sostituzione, “dal 9 maggio in poi”, per sopperire alle esigenze di servizio.
Non essendo stata esaudita nessuna delle due richieste, iniziavo, “dal 9 maggio in poi”, ad astenermi dalla trattazione delle udienze civili e penali. Il Presidente del Tribunale dr. Aldo Alocchi provvedeva ovviamente a disporre la mia sostituzione con altri magistrati, dapprima per le singole udienze e, poi, con provvedimenti di sostituzione tabellari.
Ovviamente io mi recavo sempre in ufficio, pronto a riprendere immediatamente la trattazione delle udienze, se fosse stata nel frattempo accolta una delle mie richieste. Pertanto in occasione delle singole udienze facevo constatare la mia presenza e il mio rifiuto con dichiarazioni autografe che indirizzavo al Ministro di Giustizia e al Presidente del Tribunale, ai quali ribadivo per l’ennesima volta l’invito ad ottemperare ad una delle mie richieste. Ovviamente durante la permanenza in ufficio espletavo tutte le altre incombenze di cui ero onerato.
C’è di più: ritenendo che fosse immorale che un dipendente pubblico venisse stipendiato con danaro dei cittadini senza che venissero espletate, compiutamente, le mansioni per le quali era stato assunto, invitavo formalmente il Ministro di Giustizia a sospendermi l’erogazione degli stipendi sino a che non fosse stata definita la querelle giudiziaria con l’Amministrazione. Non avendo ricevuto risposta, ingiungevo alla mia Banca di respingere al mittente gli stipendi che venivano accreditati sul mio conto corrente.
Dopo un paio di settimane il Presidente della Corte di Appello dr. Emanuele Petraccone faceva allestire nel Tribunale di Camerino un’aula-ghetto, “senza crocifisso” e senza i miei simboli, invitandomi poi formalmente a tenervi le udienze sino a che non fosse stata definita la vertenza giudiziaria: cioè, in pratica, sino al mio pensionamento. Respingevo questa oltraggiosa “proposta” evidenziandone le intollerabili connotazioni ghettizzanti e discriminatorie e reiterando, ancora una volta, le originarie mie richieste.
In seguito al mio rifiuto ad oltranza di tenere le udienze, la Procura della Repubblica dell’Aquila apriva a mio carico un primo procedimento penale per omissione di atti di ufficio che si concludeva, in data 18.11.2005, con una prima condanna alla pena di mesi sette di reclusione ed un anno di interdizione dai pubblici uffici.
Tutt’altro che intimorito da questa condanna, seguitavo imperterrito a rifiutarmi di tenere le udienze e, ovviamente, seguitavo ad indirizzare al Presidente del Tribunale le dichiarazioni con le quali, dopo aver dato atto di essermi presentato in ufficio per espletare le mie mansioni, comunicavo di essere stato costretto a rifiutarmi a causa della presenza dei crocifissi e della mancata autorizzazione ad esporre al loro fianco i miei simboli.
Dal momento, poi, che questi miei “rifiuti” erano stati considerati “reato” dal Tribunale aquilano, provvedevo ad autodenunciarmi presso la locale Procura della Repubblica, allegando le mie dichiarazioni di rifiuto. In seguito a tali autodenunce veniva attivato un secondo processo penale a mio carico.
Nel frattempo il Procuratore Generale della Cassazione dr. Giuseppe Favara e l’Avvocato Generale Antonio Siniscalchi promuovevano, l’8.11.2005, un’azione disciplinare nei miei confronti “per violazione dell’elementare dovere di correttezza nell’espletamento degli impegni istituzionali, e cioè per avere, esasperando fino al limite della pretestuosità la pretesa di veder rimosso, ad opera della amministrazione dello Stato, da tutte le aule di giustizia, il crocifisso o, in alternativa, di esporre nelle medesime anche il simbolo della menorà della religione ebraica, omesso, sin dai primi giorni del maggio 2005, di svolgere la propria attività di magistrato presso il tribunale di Camerino, così sottraendosi alla doverosa prestazione del proprio servizio; e tanto anche dopo che il Presidente del Tribunale gli aveva messo a disposizione un’aula di udienza priva di ogni simbolo religioso”.
Entrambi gli incolpanti chiedevano poi al CSM che venissi sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e il CSM, con delibera presa il 31.1.2006, disponeva la mia sospensione cautelare affermando, in estrema sintesi, che, pur essendo la presenza dei crocifissi lesiva del principio supremo di laicità e dei miei diritti inviolabili di libertà religiosa e di eguaglianza religiosa, io “dovevo comunque ubbidir, tacendo”: a tanto ero obbligato, sia per disposto dell’art. 54 della Costituzione che in base alla sentenza n. 196/1987 della Corte Costituzionale relativa ad un “caso” che veniva qualificato sostanzialmente identico al mio, e cioè al caso di un giudice tutelare che aveva preteso di sottrarsi all’obbligo di autorizzare una minorenne ad abortire per “obiezione di coscienza”, ovverosia perché riteneva che l’aborto fosse contrario ai propri convincimenti religiosi.
Ritenendo che questa ordinanza del CSM fosse totalmente favorevole alle mie tesi -ancorché affetta da un palese errore di diritto- la producevo nel giudizio di appello dinanzi alla Corte dell’Aquila. In quella sede presentavo dei “motivi aggiunti” con i quali evidenziavo che il CSM era incappato in un clamoroso errore di diritto, perché aveva confuso un caso di “obiezione di coscienza” -che non integra affatto un diritto inviolabile- con un caso -come il mio- che integrava invece un’ipotesi di “diritto di libertà di coscienza, cioè di diritto individuale inviolabile, sancito sia dall’art. 2 della Costituzione che dall’art. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo.
Puntualizzavo, dunque, che secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Cassazione e dello stesso CSM, “anche” i magistrati erano titolari dei diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione e dalla Convenzione sui diritti dell’uomo, sicché essi potevano essere censurati disciplinarmente solo in caso di “abuso”, cioè se le “modalità” di esercizio di tali diritti fossero lesive del prestigio dell’ordine giudiziario.
Mi peritavo anche di puntualizzare che io non avevo abusato del mio diritto perché “non avevo iniziato ad astenermi dalle udienze di punto in bianco, creando così un disservizio ma, anzi, avevo dato un congruo preavviso, invitando altresì il Presidente del tribunale a provvedere alla mia sostituzione dal 9 maggio 2005 in poi.
Con sentenza depositata il 16.4.2008 il Tribunale dell’Aquila mi infliggeva una seconda condanna ad ulteriori cinque mesi di reclusione nel secondo processo.
Il 17 febbraio del corrente anno 2009, però, la Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, la prima sentenza di condanna, affermando che “il fatto non sussiste”, e cioè che non esiste alcuna udienza che sia mai stata omessa o rifiutata, dal momento che sono stato sempre sostituito da altro magistrato in seguito al mio preannunciato rifiuto.
A questo punto, anziché prendere atto del giudicato a me favorevole e procedere, dunque, alla rapida definizione del procedimento disciplinare, a causa del quale sto patendo una sospensione cautelare che si protrae dalla bellezza di 4 anni, sono iniziate le consuete “grandi manovre” per “incastrare” il dr. Luigi Tosti a tutti i costi.
In particolare, il 27 marzo 2009 -cioè dopo appena un mese dalla mia piena assoluzione - è stato promosso dal Sostituto Procuratore Generale dott. Vitaliano(peraltro in barba alla decadenza) un secondo procedimento disciplinare col quale l’originaria accusa è stata “trasformata” con la formulazione di una CICLOPICA, IMMANE e GIGANTESCA MENZOGNA: cioè quella secondo cui mi sarei rifiutato di tenere un certo numero di udienze (per la precisione quelle dell’8, 12 e 13 luglio, del 27 settembre, del 3 e 14 ottobre, del 15 novembre 2005, del 4 e 16 gennaio 2006) senza dare alcun congruo preavviso, per la precisione “con “dichiarazioni di rifiuto” di tenere le udienze rese sovente nello stesso giorno di trattazione, così determinando la necessità di immediate sostituzioni”.
Ma non è tutto. Con atto datato 22.9.2009 il Sost. Proc. Gen. dr. Eduardo Scardaccione, dopo aver unificato entrambi i procedimenti disciplinari perché “i fatti materiali posti a base dei due procedimenti e le relative motivazioni sono identici” (il che è verissimo) ha modificato la prima incolpazione adattandola, sempre in barba alla maturata decadenza, alla seconda incolpazione, asserendo che le “le (mie) dichiarazioni di “rifiuto” di tenere l’udienza (sono state) manifestate nello stesso giorno o nell’immediata prossimità, così determinando la necessità delle relative sostituzioni, grave perturbamento dell’attività di ufficio ed estrema difficoltà del proseguimento dell’attività giurisdizionale”.
Il che, tradotto in termini espliciti, significa che si vuol far affermare, da un qualche giudice, che il “povero” Presidente dr. Aldo Alocchi AVREBBE APPRESO DELLA MIA INTENZIONE DI RIFIUTARMI DI TENERE L’UDIENZA DEL 9 MAGGIO 2005 solo il giorno 9 maggio, e che COSI’ SAREBBE AVVENUTO POI PER TUTTE LE SUCCESSIVE UDIENZE, DAL MOMENTO CHE IL MIO CAPO UFFICIO AVREBBE APPRESO LA MIA INTENZIONE DI NON TENERE LE UDIENZE SOLO ALL’ULTIMO MOMENTO, CIOE’ LEGGENDO LE MIE “DICHIARAZIONI DI RIFIUTO”, “MANIFESTATE LO STESSO GIORNO DELL’UDIENZA O NELL’IMMEDIATA PROSSIMITA’”.
Si vuol dunque sostenere che il dr. Alocchi sarebbe stato costretto, in fretta e furia, a provvedere alla mia estemporanea, improvvisa, imprevista, imprevedibile e improvvida défaillance, con grave perturbamento dell’attività giurisdizionale.
Di fronte a questa modificazione dell’originaria accusa, che evoca la sempre attuale favola del lupo e dell’agnello, non posso non complimentarmi.
Complimenti, soprattutto, per aver preso la palla al balzo, cioè per aver approfittato della mia tesi difensiva, secondo cui avrei potuto essere censurato solo se “avessi iniziato ad astenermi di punto in bianco, creando così un disservizio”- per costruire una MENZOGNA CICLOPICA in sostituzione dei fatti contestatimi nell’originaria incolpazione, che erano del tutto corretti e del tutto CONFORMI A VERITA’, ma che si profilavano però molto traballanti dopo la sentenza della Cassazione che mi ha assolto.
Ebbene, il dr. Tosti fa presente di non esser più intenzionato a subire, supinamente e senza reagire nelle debite sedi penali, le persecuzioni ispirate dalle strategie vessatorie della favola del lupo e dell’agnello. Ho già sperimentato recentemente questa strategia persecutoria nel procedimento disciplinare promosso dall’esimio Ministro Mastella, laddove l’incolpazione mi è stata modificata per ben quattro volte, man mano che dimostravo l’insulsa inconsistenza di ognuna di essa, per poi appiopparmi, alla fine, la CICLOPICA MENZOGNA SECONDO CUI IL MIO RIFIUTO DI PRESENZIARE ALLE UDIENZE PENALI, SE NON FOSSERO STATI RIMOSSI I CROCIFISSI O AGGIUNTE LE MENORA’ EBRAICHE, ERA OFFENSIVO DEI GIUDICI AQUILANI PERCHE’....... “APRIORISTICO”, CIOE’ VOLTO AD AFFERMARE CHE....... RIFIUTAVO “A PRIORI” DI ESSERE GIUDICATO DA “QUEI” GIUDICI PERCHE’ .......ERANO INDEGNI DI GIUDICARMI!!!!!!!
Della serie: un cittadino che si dichiara disposto ad essere processato dai giudici, purché tolgano i crocifissi o aggiungano altri simboli, manifesterebbe per ciò stesso un “rifiuto aprioristico oltraggioso dei giudici”, e non già -come appare evidente- la totale disponibilità di essere processato da quegli stessi giudici, purché tolgano i criminali simboli dalle aule.
Il dr. Tosti è oramai arcistufo di dover subire queste vessazioni, questi comportamenti dove gli si appioppano, deliberatamente, delle menzogne ciclopiche, man mano che egli dimostra la falsità o l’infondatezza delle accuse originarie.
Ma con quale impudenza e sfrontatezza -mi chiedo- si potrà mai affermare, nella futura sentenza di condanna disciplinare, che le mie “dichiarazioni di rifiuto” -dove faccio esplicito riferimento alla lettera-ultimatum del 1° maggio 2005- integrino un rifiuto..... improvviso, inconsulto ed estemporaneo? Ma non esiste, agli atti, la lettera del 1° maggio 2005 dove preannuncio, con larghissimo anticipo, che mi rifiuterò di tenere le udienza “dal 9 maggio in poi”? E allora? Perché mi si appioppa questa calunniosa e sporca accusa?
E con quale impudenza si potrà mai affermare che il Presidente del Tribunale dr. Aldo Alocchi sia “caduto dalle nuvole” quando il 9 maggio mi sono rifiutato di tenere quell’udienza? C’è qualche giudice del CSM disposto a scrivere una siffatta deliberata menzogna nella sentenza? E con quale criminale arroganza si potrà scrivere nella sentenza che il dr. Aldo Alocchi sia “caduto dalle nuvole” anche in occasione delle successive udienze se è vero -come è inconfutabilmente vero- che questi rifiuti sono stati da me preannunciati nella lettera ultimatum del 1° maggio 2005, nella quale ho espressamente dichiarato che mi sarei astenuto dal 9 maggio in poi dal tenere le udienze se non fosse stata accolta una delle due mie richieste, con espresso invito a provvedere alla mia sostituzione per garantire il servizio?
E con quale sfrontatezza si potrà affermare che le sostituzioni sono state effettuate all’ultimo momento, se risulta invece da una “tonnellata” di documenti che il Presidente dr. Aldo Alocchi provvide ad emanare sin dal 20 maggio 2005 delle ordinanze con le quali, dopo aver dato atto del mio rifiuto ad oltranza, provvedeva a che venissi permanentemente sostituito da altri magistrati per TUTTE LE FUTURE udienze?
Suvvia, un minimo di serietà. Non cercate di arrampicarvi sugli specchi e pensate, semmai, a chiudere rapidamente la procedura disciplinare, che sta arrecando un danno all’erario.
Non chiedo mica l’archiviazione. No, anzi, caldeggio -come ho fatto sin dall’inizio- il mio immediato rinvio al giudizio della Sezione Disciplinare, alla quale caldeggierò la mia esemplare condanna, ma non per fatti falsi e calunniosi, come quello di........ non aver dato un congruo preavviso!
Tra l’altro, rilevo ed eccepisco che il P.G. era decaduto dalla nuova incolpazione, sia con riferimento al secondo procedimento disciplinare che con riferimento al primo. La procura Generale della Cassazione, infatti, era a pienissima conoscenza dei fatti che mi vengono oggi imputati, come risulta dagli atti versati nella procedura di sospensione cautelare, laddove sono ben presenti le mie “dichiarazioni di rifiuto”. Se la Procura Generale avesse voluto ravvisare in queste mie dichiarazioni di rifiuto un qualche motivo di censura, in quanto “tardive”, avrebbe dovuto muovermi quella contestazione entro il 2006, e non con ben TRE ANNI di ritardo!!!!
E non posso esimermi dall’evidenziare che io non ero neppure tenuto a rendere queste “dichiarazioni di rifiuto”, dal momento che avevo già preannunciato nella lettera del 1° maggio che mi sarei rifiutato di tenere le udienze dal 9 maggio in poi, sicché era onere del Presidente provvedere (come in effetti ha fatto) alla mia sostituzione, né più né meno di quanto avrebbe dovuto fare nell’ipotesi in cui mi fossi dovuto assentare per malattia o per altra causa.
E non posso esimermi dall’evidenziare che agli atti vi è anche la richiesta del Dr. Alocchi, indirizzata al Presidente della Corte dorica, con la quale ha caldeggiato l’applicazione di altro magistrato per sopperire alla mia sostituzione, sicché è francamente intollerabile che, traendo lo spunto da mie tesi difensive, si cerchi di “incastrarmi” con la falsa accusa di essermi rifiutato di tenere le udienze con dichiarazioni rese...... all’ultimo momento!!!!
E non posso neppure esimermi dall’evidenziare che NESSUNO dei provvedimenti con i quali il dr. Alocchi ha disposto la mia sostituzione scaturisce, in realtà, dalle mie “dichiarazioni di rifiuto”: in realtà, come acclarato dal giudicato penale, il dr. Alocchi ha provveduto a disporre la mia sostituzione in via preventiva e con provvedimenti autonomi e svincolati dalle mie “dichiarazioni di rifiuto”, al punto tale che per poter tenere “quelle” udienze sarebbe stato necessario un provvedimento di “revoca” da parte dello stesso Presidente. Il che evidenzia che lo scopo delle mie “dichiarazioni di rifiuto” non era quello -a dir poco assurdo- di “informare” il Capo Ufficio di una mia “improvvisa” e inconsulta “defaillance”, ma quello di far attestare che io, quei giorni, ero regolarmente presente in ufficio (e non a trastullarmi a casa) e che ero disposto a riprendere la trattazione delle udienze, se solo fosse stata accolta una delle due mie richieste.
Quindi, la presente procedura disciplinare non ha bisogno di inquinamenti o di escamotages da lupi fedriani per “incastrarmi” con false accuse, ma soltanto di essere definita rapidamente, visto e considerato che i fatti sono documentali e visto e considerato che il CSM ha già sviscerato in modo compiuto la materia del contendere con la diffusa e motivatissima ordinanza del 31.1.2006 con la quale è stata disposta la mia sospensione cautelare.
Se si vuole deliberare la mia condanna -come mi auguro ardentemente- non c’è nemmeno bisogno di lavorare: basta intestare come “sentenza” quell’ordinanza ed applicare poi la sanzione che, spero vivamente, sarà quella della rimozione dalla magistratura del giudice ebreo.
D’altro canto, visto che le più Alte cariche istituzionali della Repubblica Pontificia Italiana (in ordine decrescente: Pontefice, Presidente della CEI, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Presidenti della Camera e del Senato, parlamentari di destra, di sinistra, di centro, di sotto e di sopra, Amministrazioni Regionali, Province, Amministrazioni Comunali, RAI, Mediaset, Comunità Montane, Consorzi di bonifica, bagnini etc.) hanno già all’unisono decretato che i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono “ubriaconi”, che “il crocifisso non si tocca”, e che coloro che non lo vogliono “debbono morire”, sarà pure ora che il braccio secolare della Chiesa si dia da fare contro questo arrogante giudice ebreo, che tanto sconcerto ha gettato nella sana opinione pubblica italiana.
E dal momento che questo sporco ebreo non ha alcuna intenzione di recedere dal suo rifiuto di tenere le udienze sotto l’ombra di un idolo macabro ed orrifico, che gronda di criminalità e di sangue e che costituisce un insulto e un oltraggio alla memoria e alla dignità di centinaia di milioni di esseri umani che sono stati sterminati, torturati, ghettizzati, perseguitati, schiavizzati, arsi sui roghi, incarcerati, emarginati, vilipesi dalla Chiesa Cattolica e dai suoi accoliti, non resta altra alternativa praticabile se non quella di “rimuovere” dalle aule di giustizia lo sporco giudice giudeo: i “roghi”, le camere a gas e i forni crematori sono oramai passati di moda, anche se il futuro lascia ben sperare per un ritorno di "fiamma".
CONCLUDENDO:
1°) eccepisco la decadenza del P.G. sia per ciò che concerne la seconda incolpazione (n. 37/2009) che per ciò che concerne la prima incolpazione (n. 22/05) nel testo “modificato” dalla nuova contestazione del 22.9.2009;
2°) chiedo che il Presidente dr. Aldo Alocchi venga escusso perché confermi come sia vero che egli ricevette la lettera ultimatum del 1° maggio 2005 e, dunque, provvide a tutte le mie sostituzioni indipendentemente dalle “dichiarazioni di rifiuto” a mia firma che, oltre tutto, gli venivano comunicate dalla Cancelleria sovente con giorni di ritardo; perché confermi di aver chiesto al Presidente della Corte l’applicazione di altro magistrato di tribunale viciniore per sopperire ai miei rifiuti; perché confermi se sia o meno vero che deliberò variazioni tabellari, conferendomi ulteriori incarichi per compensare il minor carico di incombenze che derivava dai miei rifiuti;
3°) chiedo che vengano acquisiti tutti i provvedimenti di mia sostituzione -sia generali che particolari- riferiti a tutte le udienze di cui risulto incolpato;
4°) in considerazione della circostanza che risulta ancora pendente la pregiudiziale penale relativa al secondo procedimento disciplinare, chiedo la sospensione di questo secondo procedimento (risulto infatti ancora gravato da una condanna a cinque mesi di reclusione e debbo ragionevolmente presumere che il mio appello sarà dichiarato inammissibile, perché “tardivo”, con conseguente passaggio in giudicato della condanna);
5°) chiedo il mio immediato rinvio a giudizio per il primo procedimento disciplinare;
6°) dal momento che il Procuratore della Repubblica de L’Aquila ha dichiarato che tutte le segnalazioni effettuate alla Procura Generale della Cassazione, relative ai fatti di rilievo disciplinare scrutinati nel secondo processo penale, risultano “disperse” a causa del terremoto, chiedo che la P.G. della Cassazione me ne rilasci immediata copia per consentirmi la verifica della decadenza del Procuratore Generale dall’azione disciplinare esercitata nel 2° procedimento (n. 37/2009).

Per doverosa chiarezza e franchezza -e per eliminare qualsiasi dubbio sulla volontarietà o involontarietà di comportamenti persecutori- preannuncio che mi tutelerò in sede penale nell’ipotesi in cui venga fatto oggetto di abusi d’ufficio perpetrati allo scopo di nuocermi: non intendo più tollerare atti intenzionali di prevaricazione e, in particolare, condanne per fatti falsi e infamanti.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro ed esplicito.
Copia della presente memoria indirizzo alla Procura della Repubblica di Roma, acciocché ipotetiche mie future denunce non abbiano ad essere cestinate per “difetto di dolo”.
Sperando nuovamente di essere stato chiaro, porgo i saluti più deferenti.
Rimini, li 18 novembre 2009.
Luigi Tosti

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