giovedì 10 giugno 2010

LO SCHERZO DA PRETI DEL CONCORDATO (di Piergiorgio Odifreddi)

Lo scherzo da preti del Concordato
Piergiorgio Odifreddi*
Siamo in tempo di finanziaria, e di una controversa e dolorosa manovra correttiva. Il governo spreme a destra (poco) e a manca (molto), ma si guarda bene dal ricordare che metà della manovra potrebbe essere evitata semplicemente rifiutando alla Chiesa le elargizioni che ogni anno le vengono profuse a piene mani, partire dall’otto per mille. Che, è bene ricordarlo, è anch’esso un’invenzione di Giulio Tremonti: non il sessantatreenne Ministro dell’Economia e delle Finanze di Berlusconi nel 2010, ma il trentasettenne consigliere economico di Craxi nel 1984.Sarebbe comunque ingiusto e antistorico aggiungere, alle reali responsabilità del governo socialista di quegli anni, anche quella fittizia del Concordato. In fondo, gli accordi di Villa Madama del 18 febbraio 1984, e le norme attuative del 25 marzo 1985, non erano altro che una revisione dei Patti Lateranensi firmati da un altro (ex) socialista, Benito Mussolini, l’11 febbraio 1929.E sarebbe altrettanto ingiusto e antistorico attribuire al regime fascista le responsabilità del Concordato. Lo stesso Duce, parlando il 13 maggio alla Camera, aveva infatti candidamente spiegato i vantaggi che gliene sarebbero derivati, facendo sua un’istruzione di Napoleone al Re di Roma: “Le idee religiose hanno ancora molto impero, più di quanto si creda da taluni filosofi. Esse possono rendere grandi servizi all’umanità. Essendo d’accordo col Papa si domina oggi la coscienza di cento milioni di uomini”.Fu per questo che la Francia di Napoleone firmò col Vaticano un Concordato nel 1801. E lo stesso fecero l’Austria di Francesco Giuseppe nel 1855, l’Italia di Mussolini nel 1929, la Germania di Hitler nel 1933, il Portogallo di Salazar nel 1940, e la Spagna di Franco nel 1953. L’alleanza tra i regimi totalitari e la Chiesa aveva dunque una lunga storia, e fu proprio la conferma di quest’alleanza a deludere gli oppositori democratici del fascismo nel 1929: non soltanto Benedetto Croce, uno dei 6 senatori su 316 che votarono contro, ma anche don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi.Il giorno dopo la firma dei Patti, quest’ultimo scrisse sconsolato a don Simone Weber: “Insegnare a stare in ginocchio va bene, ma l’educazione clericale dovrebbe anche apprendere a stare in piedi”. Per tutta risposta, il 13 febbraio Pio XI indirizzò all’Università Cattolica di Milano un discorso passato alla storia, in cui disse: “Forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, immune da vertigini e abituato ad affrontare le ascensioni più ardue. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare: un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale”.In quei giorni del 1929 scese il sipario sulle speranze risorgimentali di Giuseppe Mazzini e Massimo d’Azeglio. Ma anche sulla realpolitik unitaria di Cavour, espressa dalla formula: “Libera Chiesa in libero Stato”. E addirittura sul laicismo di Giovanni Gentile, che sul Corriere della Sera del 30 settembre 1927 aveva inutilmente affermato: “Se, come notava il Manzoni, ci sono utopie belle e brutte, questa della conciliazione non è da mettersi fra le prime”. Nella sua dichiarazione di voto contrario al Senato, Croce si era invece limitato a dire più debolmente: “La ragione che ci vieta di approvare non è nell’idea di conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata”.Il Concordato clerico-fascista era comunque storicamente comprensibile e politicamente giustificato, perché di esso beneficiarono sia il clero che il fascismo. Molto più difficile da comprendere e giustificare è invece il recepimento di quello stesso Concordato nell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”.Nel suo discorso alla Costituente, e nell’istruttiva Storia quasi segreta di una discussione e di un voto pubblicata nell’aprile 1947 su Il Ponte, Pietro Calamandrei fece notare l’assurdità della formula iniziale, che fu attaccata in aula anche da Croce e Vittorio Emanuele Orlando. Una costituzione, infatti, dev’essere un monologo e non un dialogo, e sarebbe stato altrettanto ridicolo inserirvi una formula che proclamasse solennemente: “L’Italia e la Francia sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrane”. Calamandrei notò che però, sorprendentemente, a difenderla fu Palmiro Togliatti, nella seduta del 23 gennaio 1947, “con argomenti che per la loro ortodossia meritarono il pieno plauso della Civiltà cattolica”.Anche il recepimento dei Patti Lateranensi nella costituzione di uno stato laico, repubblicano e democratico era incongruo. Essi si aprivano infatti con un’invocazione alla Santissima Trinità, e nell’articolo 1 proclamavano il cattolicesimo come religione di Stato. Inoltre, facevano un esplicito richiamo allo Statuto Albertino del 1848, e recavano la firma del Duce e il marchio del fascismo. Infine, concedevano ai cattolici privilegi in aperta contraddizione con il resto della Costituzione. In particolare, con l’articolo 3, che stabilisce che “i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di religione”. E soprattutto con l’articolo 20, che afferma che “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, nè di speciali gravami fiscali”!Com’è stato dunque possibile che il famigerato articolo 7 sia finito nella Costituzione? Come suggerisce Calamandrei, per capirlo bisogna andarsi a rileggere gli atti delle discussioni preparatorie, e soprattutto delle sedute plenarie tenutesi all’Assemblea Costituente dal 4 al 25 marzo 1947, culminate nelle dichiarazioni di voto di De Gasperi, Nenni e Togliatti.Come si ricorderà, da oppositore del fascismo De Gasperi si era drizzato contro i Patti Lateranensi. Da capo del governo, aveva ormai appreso anche lui a stare in ginocchio. Prendendo per la prima volta la parola alla Costituente, dichiarò che “senza la fede e senza la morale evangelica le nazioni non si salvano”. E sostenne che bisognava approvare “una norma in cui si riconosca la paternità comune del Capo della Religione Cattolica, che ci protegge e che protegga soprattutto la Nazione italiana”. Gli atti registrano “vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra”.Nenni ricordò la presenza della firma di Mussolini nei Patti, e “il sospetto di una collusione [della Chiesa col fascismo] che pesa ancora sulla coscienza di molti italiani, come una macchia e una vergogna”. Aggiunse che “lo Stato laico considera la religione come un problema individuale di coscienza, ma si mantiene nella sfera della sua sovranità”. E concluse dicendo che “per consolidare la Repubblica bisogna fondare lo Stato, e lo Stato non si fonda sul principio di una diarchia di poteri e di sovranità”. Questa volta, “vivi applausi a sinistra”.Togliatti iniziò il suo discorso ricordando “le masse di lavoratori e cittadini che ci hanno dato la loro fiducia”. E poi, a sorpresa, spiegò che bisognava tradire questa fiducia, perché così voleva il Papa: “Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà della Chiesa cattolica, ed è questo il punto da cui dobbiamo partire”. Ammise che “cosa è destra e cosa è sinistra non è sempre facile dirlo in politica”. E finì “convinto che in un consesso di prelati romani sarei stato ascoltato con più sopportazione”.L’articolo 7 fu approvato per 350 voti a 149, con l’apporto determinante del centinaio di deputati comunisti. Calamandrei espresse tutto il suo disgusto per la loro “resa a discrezione”, e ricordò che “quando fu proclamato il risultato, nessuno applaudì, neanche i democristiani”. Ma il giudizio allo stesso tempo più corretto e più insultante l’ha dato il 10 dicembre 2009 il Segretario di Stato, cardinal Bertone, paragonandolo il discorso di Togliatti a quello di “un padre della Chiesa”, e ricevendo un’immediata approvazione da Massimo d’Alema: cioè, dal peggior erede del Migliore.E’ anche a causa di quei “comunisti” di allora, e di questi ex-“comunisti” di ora, che l’Italia continua a rimanere in ginocchio di fronte alla Chiesa e al Papa. E’ anche con la loro connivenza e complicità che qualunque governo, ecumenicamente e impunemente, sottrae ogni anno miliardi di euro ai poveri contribuenti e li elargisce a una ricchissima istituzione, che sostiene fariseicamente di ispirarsi a qualcuno che predicava: “Beati i poveri…”
* Matematico, autore di Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), presidente onorario UAAR: nei giorni scorsi è stato pubblicato il libro-intervista di Claudio Sabelli Fioretti Perché Dio non esiste. Il testo è l’intervento conclusivo tenuto alle Giornate della Laicità di Reggio Emilia.

giovedì 3 giugno 2010

L’APPUNTAMENTO DEL CROCIFISSO CON LA GRANDE CAMERA (di Luigi Tosti)


Come è noto, i sette giudici della Corte europea, che hanno accolto (all’unanimità!!) il ricorso della cittadina Lautsi Soile, hanno affermato che l’esposizione del solo crocifisso nelle aule pubbliche lede il principio supremo di laicità dello stato ed il diritto di libertà religiosa delle persone (nella specie: gli alunni) che sono costrette a frequentare quelle aule. Il diritto inviolabile di libertà religiosa- hanno sottolineato i sette giudici- non va inteso solo in senso positivo -cioè come diritto di manifestare la fede esponendo crocifissi al proprio collo o alle pareti della propria casa- ma anche in senso negativo, cioè pretendendo che nessuno affigga crocifissi al nostro collo o alle nostre pareti: e le pareti degli edifici pubblici -per l’appunto- non appartengono al “monopolio” dei cattolici ma allo Stato italiano, che deve dunque garantire alle persone che sono costrette a frequentare quelle aule il diritto di non vedersi imporre simboli di una qualche religione, senza peraltro poter esporre i propri.
Orbene, il Governo italiano non ha gradito questa elementare lezione di diritto ed ha fatto pertanto un ricorso alla Grande Camera (= 17 giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo) che, ridotto nella sua estrema sintesi, si compendia in questa “argomentazione” che, a mio modesto avviso, appare tutt’altro che sublime.
In Italia -ha chiosato il Governo Vaticaliano- la maggioranza della popolazione è cattolica e gradisce, dunque, che il crocifisso venga esposto -in regime di monopolio e in perfetta solitudine- nelle aule delle scuole, dei tribunali e, in genere, degli uffici pubblici. Toglierlo significherebbe dunque “offendere” e “limitare” il diritto di libertà religiosa dei cattolici, piuttosto che garantire il diritto di libertà religiosa della Lautsi Soile e di tutti coloro che, in Italia, appartengono a confessioni, fedi o credo “infimi”, che cioè non sono cattolici. Dunque -ha concluso il Governo della Repubblica Pontificia- rientra nel “margine di apprezzamento” (cioè nella discrezionalità) del Governo italiano “limitare” i diritti di libertà religiosa delle minoranze, all’apprezzabile scopo di “garantire la pace sociale”: se venissero tolti i crocifissi, infatti, si “offenderebbe” la suscettibilità della maggioranza cattolica, che vuole che nelle aule sia esposto il SOLO crocifisso della loro “superiore” fede religiosa e che venga vietato agli altri di esporre i propri!!
Se questa delirante “argomentazione giuridica” del Governo Italiano dovesse passare, le conseguenze sarebbero a dir poco paradossali.
Si potrebbe ad esempio affermare che è giusto vietare ai “negri” di salire sui mezzi di trasporto pubblici, perché la “maggioranza” della popolazione è bianca e non gradisce la presenza dei “negri” sui mezzi di trasporto. E, in effetti, seguendo la stessa “argomentazione giuridica” prospettata dal Governo italiano alla Grande Camera, si potrebbe affermare che rientra nel “margine di apprezzamento” del Governo italiano consentire SOLO ai bianchi di viaggiare sui mezzi di trasporto pubblico, allo scopo di preservare la “pace sociale”: i bianchi, infatti, sono la “maggioranza” degli italiani e si offenderebbero se fosse consentito anche agli sporchi negri di viaggiare sui treni, sugli aerei etc. etc.
Sostenendo questa sublime “tesi” giuridica, il Governo Italiano è come se avesse detto alla Grande Camera: dal momento che in Italia la maggioranza della popolazione, di fede cattolica, discrimina tutte le altre minoranze religiose, imponendo nelle aule pubbliche l’ostensione del SOLO crocifisso e vietando l’esposizione degli altri simboli, perché ritenuti “inferiori” e “non graditi”, “non è opportuno” che la Corte europea dei diritti dell’Uomo condanni la Repubblica Pontificia a togliere i crocifissi (eliminando in questo modo la violazione dei diritti di libertà religiosa e di eguaglianza delle minoranze) perché altrimenti i “razzisti cattolici” potrebbero..... aversene a male!!!
Se questo “sublime ragionamento giuridico” dovesse essere poi trasferito nell’ambito di diritti inviolabili ben più corposi, come ad esempio quelli relativi alla vita e alla non tortura, gli aspetti grotteschi travalicherebbero nel “delirio giuridico”.
Si potrebbe infatti sostenere che è legittimo torturare o infilare gli ebrei, i rom e gli omosessuali nelle camere a gas e nei forni crematori, perché magari la “maggioranza” della popolazione gradisce torturarli e ucciderli. Dunque, anche in questo caso la Corte europea non potrebbe condannare uno Stato ad astenersi dalla tortura e dai genocidi perché, altrimenti, verrebbe pregiudicata la “pace sociale” di quello Stato (magari nazista), in quanto verrebbe turbata la “serenità” .....degli assassini e dei torturatori!!
Personalmente ritengo che il “ricorso” della Grande Camera da parte della Colonia del Vaticano -che qualcuno si ostina ancora a chiamare “Italia”- sia destinato ad un inglorioso e clamoroso tonfo. Se così non fosse, significherebbe che la Corte europea ci ha di nuovo precipitati nel “clima”, tutt’altro che civile, della seconda guerra mondiale, quando i nazisti torturavano ed infilavano nelle camere a gas gli ebrei, i rom e gli omosessuali.
E che il Governo di Vaticalia sia perfettamente consapevole del punto debole della sua tesi -e cioè che nelle aule vengono esposti SOLO i crocifissi, sicché si garantisce l’espressione del diritto di libertà religiosa SOLO ai cattolici, ma si vieta agli altri il pari diritto- risulta dal tenore delle memorie difensive che sono state stese dal prof. Cardia e che l’attuale Gentiluomo del Papa, cioè il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, ha presentato, con enfasi ed entusiasmo, in una recente conferenza stampa.
Con queste memorie, infatti, il Governo italiano cerca ora di ingannare i giudici della Corte europea con MENZOGNE a dir poco CICLOPICHE, e cioè facendo loro credere che lo Stato italiano ha sempre consentito che nelle scuole pubbliche vengano insegnate TUTTE le religioni e che vengano esposti TUTTI i simboli.
Si tratta però di circostanze palesemente false: e sia il caso di Luigi Tosti che quello di Adel Smith ne sono la prova evidente. Ad entrambi, infatti, la Repubblica Vaticaliana ha vietato di esporre i loro simboli nelle aule, non già perché non ci fosse spazio sufficiente o perché pregiudicassero la stabilità degli edifici, ma perché si trattava di soggetti non cattolici, cioè “diversi”. Anzi, i simboli che costoro hanno esposto sono stati immediatamente rimossi perché la loro presenza offendeva la sensibilità dei “superiori” cattolici: il che concretizza atti di “razzismo religioso” intollerabili perché compiuti da Organi dello Stato italiano.
Il fatto che il Governo tenti oggi di ingannare i Giudici della Corte europea con “memorie difensive” mendaci, non è soltanto un atto gravemente offensivo della Grande Camera, ma dimostra anche che il Governo è in perfetta MALA FEDE, perché è consapevole del fatto che l’esposizione del SOLO crocifisso è un atto che discrimina i “diversi” e che, in quanto tale, viola ineluttabilmente il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione religiosa di tutti coloro che non sono cattolici.
3 giugno 2010
Luigi Tosti