mercoledì 22 maggio 2013

Caro Papa ti scrivo, così mi distraggo un po'...(di Luigi Tosti)

Il prossimo 6 giugno si discuterà dinanzi la settima Sezione penale della Cassazione il ricorso che ho proposto contro la sentenza del luglio 2012 con la quale la Corte di Appello di L'Aquila mi ha assolto con la formula piena (il fatto non sussiste) dall'accusa di essermi rifiutato di tenere le udienze sotto l'imposizione del crocifisso. Il mio ricorso non è stato ovviamente indirizzato contro l' "assoluzione", bensì contro le  motivazioni della sentenza che hanno ritenuto ingiustificato il mio rifiuto di tenere le udienze in un' "aula-ghetto" allestita appositamente per la mia persona senza crocifisso. Il relatore ha ritenuto che difetti il mio interesse a ricorrere e, pertanto, ha fissato la discussione in camera di consiglio, per l'udienza (non pubblica) del 6 giugno 2013. Ritenendo di far cosa utile a chi segue la mia vicenda (ed ha la pazienza di leggere), ho riportato qui di seguito i brani della memoria con la quale ho nuovamente richiesto di sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale, coinvolgendo peraltro in prima persona l'attuale Pontefice, al quale inoltrerò questa memoria per posta, in merito all'esposizione del solo crocifisso nelle aule giudiziarie e al divieto di esporre i simboli degli ebrei, degli atei  e di tutte le altre confessioni. Una copia la inoltrerò anche al Rabbino Capo di Roma, prof. dott. Riccardo Di Segni, autore, nel 2002, di una sagace riflessione sull'esposizione/imposizione dei crocifissi negli uffici pubblici che riporto alla fine di questo mio scritto.
Buona lettura
22 maggio 2013
Luigi Tosti


  

ALLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Settima Sezione Penale
Udienza in camera di Consiglio del 6.6.2013-Collegio 1-R.G. 45.875/2012
Memoria ex art. 611 C.P.P. dell’imputato ricorrente
Tosti Luigi, nato a Cingoli il 3.8.1948, res. a Rimini, Via Bastioni Orientali n. 38,

INOLTRATA, PER CONOSCENZA E PER QUANTO DI COMPETENZA:
1. al Capo dello Stato Città del Vaticano Pontefice Jorge Mario Bergoglio;
2. al Rabbino Capo di Roma Dott. Prof. Riccardo Di Segni
Con avviso del 15.2.2013 è stato comunicato che il ricorso da me proposto avverso la sentenza del 5.7.2012 della Corte d’Appello di L’Aquila -che mi ha assolto dal reato di “omissione di atti d’ufficio” per essermi rifiutato di tenere le udienze sotto l’imposizione del simbolo religioso del “crocifisso”- sarà discusso alla camera di consiglio del 6.6.2013 perché “proposto da soggetto privo di interesse”. In vista di tale udienza camerale presento questa memoria, che indirizzo anche agli altri destinatari per quanto di loro competenza, rappresentando quanto segue.
(1)               TERZO PUNTO: In terzo luogo ripropongo la questione “preliminare” della preventiva rimozione dei crocifissi da tutte le aule di giustizia italiane per garantire, durante la celebrazione del processo camerale del 6.6.2013, il rispetto dei miei diritti primari all’osservanza del principio supremo di laicità dello Stato e di imparzialità della Giustizia e, altresì  dei miei diritti inviolabili di libertà e di eguaglianza religiosa. Nell’ipotesi in cui i crocifissi non risultino rimossi in via generalizzata dal Ministro di Giustizia, invito la Cassazione a sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia per i motivi già ampiamente esposti nell’atto di appello e nel ricorso per cassazione e che, comunque, qui di seguito reitero.
Rappresento che questa mia richiesta è condivisa e sarà fatta propria dal mio difensore Avv. Carla Corsetti, Segretaria Nazionale del Partito Democrazia Atea, a tutela dei suoi pari diritti inviolabili.
Preannuncio che, nell’ipotesi in cui la Cassazione respinga la mia richiesta e la richiesta del mio difensore e decida dunque di proseguire il giudizio rifiutandosi di sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi la Consulta, la nomina dell’Avv. Carla Corsetti si intenderà immediatamente revocata e costei dovrà pertanto astenersi da qualsiasi ulteriore -quanto abusiva- attività difensiva a mio favore e dovrà, per contro, allontanarsi dall’aula. Per essere estremamente chiaro ed esplicito, infatti, non intendo né essere processato da Giudici partigiani -che cioè si identificano platealmente nei “crocifissi” appesi sopra le loro teste- né di subire la lesione dei miei diritti inviolabili di libertà religiosa e di eguaglianza religiosa. Al pari del Rabbino Capo di Roma Prof. Riccardo Di Segni (di cui riporterò nel prosieguo la sua illuminata ed equilibrata opinione, espressa nel 2002, cioè prima dell’inizio della mia battaglia legale)  ritengo infatti che gli ebrei -così come peraltro qualsiasi persona di qualsiasi razza o fede o cultura- siano eguali di fronte alla legge e che le aule di giustizia -in quanto pubbliche ed appartenenti ad uno  Stato LAICO [e non ad uno Stato confessionale, qual’è la Città del Vaticano]- debbano essere necessariamente neutrali e rispettose dei diritti di libertà religiosa e di eguaglianza e non discriminazione di coloro che, per motivi di giustizia, sono “obbligati” a frequentarle.

MOTIVAZIONI  DELL’ISTANZA PRELIMINARE
                       
A) L’obbligo di garantire il rispetto dei diritti inviolabili durante i processi.
(1)               La Cassazione penale, con sent. n. 3376 del 2001, ha sancito la piena legittimità del rifiuto di un imputato disabile di presenziare all’udienza dibattimentale “per l'esistenza di barriere architettoniche che gli impedivano di accedere all'aula di udienza”, perché ha ritenuto che “spetta all'amministrazione pubblica garantire alle persone disabili modalità di accesso ai locali rispettose dell'uguaglianza e della pari dignità di tutti i cittadini.”
            La Corte ha dichiarato che “l'ordinanza che ne dichiari la contumacia è nulla perché gli interventi di rimozione degli ostacoli devono essere preventivi rispetto al manifestarsi dell'esigenza della persona disabile e i problemi di questa non possono essere considerati come problemi individuali, bensì vanno assunti dall'intera collettività.
(2)               Il ricorrente ritiene che questi stessi principi debbano essere applicati al suo caso: spetta infatti all’amministrazione giudiziaria garantirgli -attraverso la rimozione dei crocifissi (o, in subordine, autorizzandolo ad esporre la menorah o altri simboli a fianco del crocifisso)- la partecipazione al processo nel pieno rispetto dei suoi diritti inviolabili di libertà religiosa, di coscienza, di eguaglianza e di equo processo da parte di giudici imparziali. Se ciò non avverrà, sarò costretto a revocare la nomina del mio difensore perché non intendo subire l’imposizione di difendermi dinanzi a giudici visibilmente partigiani e in ambienti giudiziari che, come sancito dalla stessa Corte di Appello, sono lesivi dei diritti di libertà e di eguaglianza religiosa.
(3)               Se la Corte riterrà giustificata questa pretesa, dovrà valutare il rilievo del mio rifiuto (ma anche del rifiuto del mio Legale ad espletare le sue mansioni difensive) ai fini della regolarità del processo, sulla base degli stessi principi sanciti dalla Cassazione penale nella sentenza sopra citata: la lesione dei diritti di difesa, infatti, non potrà essere valutata come una mia “libera scelta” né come una libera scelta del mio Legale, bensì come rifiuto necessitato dall’esigenza di salvaguardare diritti inviolabili al rispetto del principio di laicità, di equo processo, e di libertà e di eguaglianza religiosa
(4)               Dal momento che la Corte Suprema non può disapplicare la circolare del Ministro fascista Rocco ex art. 4, all. E, della L. 20.3.1865 n. 2248 (la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie italiane postula infatti l'esecuzione di un atto amministrativo generale che rientra nella competenza esclusiva del Ministro, come espressamente affermato dalla Cassazione penale nell’ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005), non resterà altra alternativa che sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia, ex art. 134, comma 2° Cost., e 37 L. 11.3.1953 n. 87, sussistendone tutti i requisiti oggettivi e soggettivi.
(5)               Il diniego di rimozione dei crocifissi da parte del Ministro di Giustizia (sempreché ritenuto dalla Corte di Cassazione illegittimo ed ostativo alla prosecuzione del dibattimento) impedirebbe infatti sine die la celebrazione del ricorso: il che concretizzerebbe, di fatto, una “menomazione della pienezza della funzione giurisdizionale attribuita alla Corte di Cassazione dalla Costituzione”.
(6)               Questa “menomazione” integrerebbe un'ipotesi del tutto analoga a quella dell' illegittimo rifiuto delle Camere di fornire all'Autorità giudiziaria documenti necessari ai fini probatori o a quella dell' illegittimo rifiuto dell'autorizzazione a procedere contro parlamentari: tutti casi, questi, nei quali la Corte Costituzionale ha ritenuto e ritiene ammissibili i conflitti di attribuzione ex art. 37 L. n. 87/1953.
(7)               Questa norma sancisce infatti che “Il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”.
(8)               Nel caso di specie ricorre, innanzitutto, il requisito soggettivo, in quanto la Corte di Cassazione gode di assoluta indipendenza ed autonomia nell'ambito del più vasto “potere giurisdizionale” cui appartiene (si richiama Corte Cost., ord. 22/1975: “i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerare legittimati -attivamente e passivamente- prescindendo dalla proponibilità di gravami predisposti a tutela di interessi diversi”).
(9)               Non sussiste, poi, l'ipotesi che “altro organo, all'interno del potere giurisdizionale, sia abilitato ad intervenire -d'ufficio o dietro sollecitazione del potere controinteressato- rimuovendo o provocando la rimozione dell'atto o del comportamento che si assumono lesivi” (Corte Cost., ord. 228/75).
(10)           Dal punto di vista oggettivo, poi, il conflitto di attribuzione concerne sicuramente un atto amministrativo di natura regolamentare (circolare Min. Giust. n. 2134/1867 del 29.5.1926 o, comunque, un comportamento di “rifiuto” di rimozione dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane), della cui “illegittimità” non è dato dubitare.
(11)           Infine, la violazione della sfera di attribuzione della Corte di Cassazione trova il suo fondamento negli artt. 101 e 102 della Costituzione, perché il diniego di rimozione generalizzata dei crocifissi dalle aule giudiziarie da parte del Ministro di Giustizia, implicando la violazione del diritto costituzionale dell'imputato (e del difensore) all'equo processo da parte di un giudice imparziale (art. 111 Cost. e 6 Conv.), nonché del diritto costituzionale all'eguaglianza (art. 3 Cost. e 14 Conv.) e del diritto costituzionale alla libertà religiosa (art. 19 Cost. e 9 Conv.), determina un legittimo impedimento dell’imputato a partecipare al processo e a difendersi (art. 420 C.P.P.), con conseguente menomazione della pienezza della funzione giurisdizionale della Corte di Cassazione a causa dello “stallo” sine die del processo.
(12)           Si tratta di fattispecie del tutto assimilabile a quella ritenuta fondata dalla Corte Costituzionale con l'ord. n. 228 del 1975:
Il rifiuto opposto al Tribunale di Torino dalla Commissione d'inchiesta in ordine alla richiesta di documenti, ritenuti necessari ai fini probatori, concreta una illegittima menomazione delle pienezza della funzione istituzionalmente spettante al potere giurisdizionale ex artt. 101 e 102, esplicata dal Tribunale medesimo, per la limitazione che ne risulterebbe all'accertamento dei fatti ed alle conseguenti valutazioni di sua competenza”.
(13)           D’altro canto, la Corte Suprema ha giustamente sancito, nella citata ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005, che non è possibile il ricorso alla legittima suspicione da parte dell'imputato che si ritenga leso nei suoi diritti a causa dell’imposizione dei crocifissi nelle aule giudiziarie: e questo perché, “anche se può avere incidenza indiretta sulle posizioni soggettive di terzi estranei a quella amministrazione”, la circolare fascista ha portata generale e si applica ai tutti gli uffici giudiziari italiani, sicché, pur “essendo state sollevate circostanze importanti”, non può invocarsi l'istituto della rimessione del processo per scongiurare un pericolo di parzialità del giudice o di turbamento del giudizio, quando la situazione che asseritamente genera quel pericolo ha dimensione nazionale, essendo evidente che in tal caso anche la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare quella stessa situazione che si assume pregiudizievole per la imparzialità e serenità del giudizio”.
(14)           Sulla base di questi lineari principi, pertanto, l’unica via praticabile per risolvere il rispetto dei diritti inviolabili dell’imputato e del difensore è quella del conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia ex artt. 134 Cost. e 37 L. 11.3.1953 n. 87, affinché la Consulta dichiari che il rifiuto di rimozione dei crocifissi è illegittimo, per violazione degli art. 2, 3, 7, 8, 19, 97, 101, 102, 104 e 111 e 113 della Costituzione e 6, 9, 13, 14 e 17 della Convenzione e determina, dunque, una illegittima menomazione della pienezza delle funzioni giurisdizionali spettanti alla Corte di Cassazione ex artt.101 e 102 Costituzione.
(15)           Si segnala che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 127/2006, ha dichiarato inammissibile analogo conflitto di attribuzione, sollevato dal Tosti quando esercitava le funzioni giurisdizionali nel Tribunale di Camerino, perché ha ritenuto che “il giudice remittente, che per sua stessa ammissione si era astenuto dalle funzioni giurisdizionali dal 9.5.2005, non era attualmente investito di un processo, in relazione al quale soltanto i giudici si configurano come organi competenti a dichiarare la volontà del potere cui appartengono”: questa situazione, però, non sussiste nel caso di specie, perché i Giudici della Corte di Cassazione sono nel pieno delle funzioni e sono investiti della trattazione di questo processo, cioè del processo che reca il numero di R.G. 45.875/2012.

B) Irrilevanza della rimozione o dell’assenza del crocifisso nell’aula di camera di consiglio e di eventuale predisposizione di “aula-ghetto” per la celebrazione del presente processo
Il ricorrente sconsiglia di rimuovere il crocifisso dall’aula dell’udienza dibattimentale per eludere, surrettiziamente, la questione del rispetto dei diritti umani o, addirittura, di creare un’ “aula-ghetto” senza crocifisso. Questo escamotage, che ho definito e definisco ingiurioso della mia dignità e della dignità del mio Legale, non avrebbe infatti alcun rilievo ai fini del rispetto del principio supremo di laicità e del diritto inviolabile di libertà religiosa che, come sancito dalla CEDH, va inteso anche in senso negativo; senza considerare, poi, che il principio di laicità non può essere garantito con la rimozione o con l’occasionale assenza di un crocifisso, come sancito dalla Cassazione penale nella sentenza n. 4273/2000. Sconsiglierei anche di eludere la problematica con “motivazioni” “irridenti” ed oltraggiose della mia dignità, come quella esposta da Cass., SS.UU. civili, nella sent. n. 20.601/2008, laddove i giudici delle ss. uu. hanno affermato che, “non avendo questa Corte poteri istruttori, l'eventuale presenza di crocefissi in altre aule, quale segno della non laicità del "palazzo", andava documentata dalla parte che ha formulato l'eccezione”. Una siffatta “motivazione”, provenendo da Consiglieri di Cassazione che lavorano abitualmente nelle aule della Cassazione e che sanno perfettamente che i crocifissi sono esposti (e debbono essere esposti) nelle aule della Cassazione, denota soltanto intenti di inqualificabile arroganza e sfottò nei miei confronti.


C. LA NORMATIVA INTERNA.
(16)           La Costituzione italiana garantisce ad ogni individuo la libertà di religione nell’art.19, disponendo che “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
(17)           La libertà di religione tutela anche i convincimenti dell’ateo e dell’agnostico, secondo quanto ha affermato la Corte costituzionale nelle sentenze n. 117 del 1979 e 334 del 1996.
In particolare, nella sentenza n. 334 del 1996, la Corte costituzionale ha ricordato che “gli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione garantiscono come diritto la libertà di coscienza in relazione all'esperienza religiosa. Tale diritto, sotto il profilo giuridico–costituzionale, rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall'art. 2. Esso spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano essi atei o agnostici”.
(18)           L’art. 3 della Costituzione italiana garantisce l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione. La disposizione, infatti, stabilisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
(19)           La Costituzione, pur prendendo in esame separatamente, nell’art. 7, la posizione della Chiesa cattolica stabilisce, all’art. 8, primo comma, che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, con una disposizione che si riferisce anche alla confessione cattolica.
(20)           Per completare la descrizione del quadro costituzionale, va aggiunto che la Corte costituzionale italiana ha ripetutamente affermato che dal sistema delle norme costituzionali si ricava il principio di laicità, il quale, come è scritto nella sentenza n. 508 del 2000, è “un principio che assurge al rango di ‘principio supremo’ (sentenze nn. 203 del 1989, 259 del 1990, 195 del 1993 e 329 del 1997), caratterizzando in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse (sentenza n. 440 del 1995)”.
Tale principio di laicità – ha poi specificato ancora la Corte costituzionale – “implica equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni” (sentenza n. 327 del 2002; così anche sentenze nn. 508 del 2000, e 329 del 1997).
(21)           Sul piano della normazione ordinaria, l’art. 2 del decreto legislativo n. 216/2003, che ha recepito la direttiva 2000/78/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2000, sanziona poi qualsiasi forma di “discriminazione” da parte del datore di lavoro pubblico o privato, e cioè sia la “discriminazione diretta” (“quando, per religione...... una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga”) che quella “indiretta” (“quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione ...... in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”).
(22)           L’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie non è prevista da alcuna legge né da alcun atto che abbia carattere di fonte del diritto. Infatti, l’ostensione del crocifisso nelle aule di giustizia avviene in forza della circolare del Ministro di grazia e giustizia del 29 maggio 1926, n. 2134/1867, priva di fondamento normativo.
(23)           La circolare, a firma del Ministro, recita quanto segue: “Prescrivo che nelle aule di udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all'effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocefisso, secondo la nostra antica tradizione. Il simbolo venerato sia solenne ammonimento di verità e giustizia”.
(24)           Nell’ordinamento italiano le circolari sono istruzioni amministrative e non hanno natura di fonte del diritto. Quanto al periodo storico in cui è stata emanata, si evidenzia che la circolare risale all’epoca della dittatura fascista e si colloca in un contesto ordinamentale caratterizzato, ai sensi dell’art. 1 dello Statuto albertino del 1848, dal principio per cui la religione cattolica era la religione dello Stato.
(25)           Le successive circolari ministeriali, di epoca repubblicana, che si sono occupate dell’arredo delle aule giudiziari non menzionano il crocifisso.
Infatti, la direttiva del Ministro della giustizia Roberto Castelli del 28 novembre 2002 ha disposto che “nelle Aule di udienza, compresa l'Aula Magna (ove esistente), di tutti gli Uffici giudiziari, sia inserita la seguente dicitura: ‘La giustizia è amministrata in nome del popolo’”, dicitura che dovrà essere “apposta in modo visibile alle spalle del Giudice ed in stile uniforme agli arredi”.
La successiva circolare del Ministro della giustizia Clemente Mastella del 7 agosto 2006 ha disposto la rimozione della targa e la conservazione della sola dicitura “La legge è eguale per tutti”.
(26)           L’ordinamento italiano considera il crocifisso come un simbolo religioso.
La giurisprudenza qualifica pacificamente i crocifissi quali “oggetti di devozione e di culto” (e non oggetti di arredamento, come un tavolo o una sedia), e ravvisa pertanto il reato previsto e punito dall’art. 404 c.p. [Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose] nella condotta di chi vilipenda, distrugga, deteriori o imbratti tale simbolo in un luogo pubblico o aperto al pubblico, quale sarebbe per l’appunto un’aula di tribunale (in tal senso si veda Cassazione penale, sez. I, sentenza 28 ottobre 1966, Fagiali; Cassazione penale, sez. III, 21 dicembre 1967, Conti; Tribunale di Padova, 14 giugno 2005, Smith).
(27)           Nel diritto italiano l’esposizione del crocifisso sulla propria persona o in altro luogo di appartenenza è considerata un atto di manifestazione di libertà religiosa, cioè di professione e di propaganda di fede, come si ricava dall’art. 58, comma 2, del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) che, tra le “manifestazioni della libertà religiosa” consentite ai detenuti, prevede appunto l’esposizione “nella propria camera individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera a più posti” di “immagini e simboli della propria confessione religiosa”.
(28)           Lo stesso Ministro di Giustizia, del resto, ha sostenuto, nel corso giudizio promosso dal Tosti avanti al TAR delle Marche, che l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie rappresenta un “atto di manifestazione di fede” da parte dello Stato italiano (“laico”!).

D. LA GIURISPRUDENZA INTERNA IN MATERIA DI CROCIFISSI NELLE AULE GIUDIZIARIE.

(29)           Benché il TAR per le Marche, investito dal ricorrente Luigi Tosti nel lontano 2004 della questione relativa alla legittimità dell’esibizione dei crocifissi nelle aule di giustizia, si sia rifiutato pilatescamente di occuparsene per asserito difetto di giurisdizione (nonostante opposte sentenze delle SS.UU. civili e del Consiglio di Stato), il problema dei crocifissi nei tribunali è stato incidentalmente affrontato dalla giurisprudenza ordinaria e dalle ricordate decisioni del Consiglio superiore della magistratura.
(30)           Già nella sentenza della Cassazione penale, sez. IV, 1° marzo 2000, n. 4273, la Suprema Corte ha ritenuto che la circolare del Ministro di grazia e giustizia del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 sia incompatibile con il principio costituzionale di laicità quale profilo della forma di Stato delineata nella Costituzione repubblicana ed ha considerato giustificato il rifiuto di un pubblico ufficiale [nella specie: di un Presidente di seggio elettorale] di svolgere l’ufficio fino a quando non fossero stati rimossi i crocifissi dalle sezioni elettorali. Nella decisione richiamata la Corte di cassazione ha sottolineato che “l'imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità (altro aspetto della laicità, evocato sempre in materia religiosa da corte cost. 15.7.1997, n. 235) dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia”. La stessa sentenza ha affermato che l’esposizione del crocifisso nell’ufficio, oltre a contrastare con il principio di laicità e con il dovere di imparzialità del funzionario, può ledere anche la libertà di coscienza del funzionario stesso.
(31)           Nell’ordinanza del Consiglio superiore della magistratura del 31 gennaio 2006, con la quale è stata disposta la sospensione cautelare dello scrivente Luigi Tosti, il collegio, dopo aver ricordato che la libertà di coscienza è espressamente riconosciuta anche dall’art. 9 della CEDU e dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, evidenzia, con richiamo testuale della giurisprudenza costituzionale, che tale libertà, specie se correlata all’espressione di convincimenti morali o filosofici (art. 21 Cost.) ovvero alla propria fede o credenza religiosa (art. 19 Cost.), “dev’essere protetta in misura proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana”: e conclude che è “convincente la tesi dell’incolpato secondo la quale l’esposizione del crocifisso nella aule di giustizia, in funzione di solenne ‘ammonimento di verità e giustizia’, costituisce un’utilizzazione di un simbolo religioso come mezzo per il perseguimento di finalità dello Stato e, pertanto appare in contrasto con il principio supremo di laicità dello Stato” e che “del pari persuasiva” appare l’affermazione secondo cui “l’indicazione di un fondamento religioso dei doveri di verità e giustizia ai quali i cittadini sono tenuti, può provocare nei non credenti “turbamenti, casi di coscienza, conflitti di lealtà tra doveri del cittadino e fedeltà alle proprie convinzioni” (corte cost. n. 117 del 1979) e pertanto può ledere la libertà di coscienza e di religione.”
(32)           Ancora, la sentenza del Consiglio superiore della magistratura n. 88 del 2010, del 22 gennaio 2010, che ha inflitto allo scrivente Luigi Tosti la sanzione massima della radiazione dalla magistratura, ha riconosciuto che l’obbligo di esercitare la giurisdizione sotto la “tutela simbolica”, in contrasto con le convinzioni di coscienza del magistrato, mette in discussione il suo “fondamentale diritto soggettivo di libertà religiosa e di opinione”.
(33)           Le Sezioni uniti civili della Corte di cassazione, confermando la decisione del Consiglio superiore della magistratura, hanno implicitamente ribadito che il diritto soggettivo di libertà religiosa e di opinione del ricorrente è pregiudicato dall'obbligo di esercitare la giurisdizione sotto la tutela simbolica del crocifisso.
(34)           Infine -ed è quel che più rileva in questa sede- con ordinanza dibattimentale del 5.7.2012 la Corte d’Appello dell’Aquila ha ritenuto fondate le pretese dell’imputato Luigi Tosti e dei suoi difensori di celebrare il presente processo penale in un aule prive del crocifisso cattolico, affermando che era “meritevole di tutela, alla luce dei principi costituzionali, il diritto dei difensori e dell'imputato a presenziare e ad esercitare le prerogative difensive in un'aula di giustizia priva di espliciti simboli religiosi”. [1]
(35)           La giurisprudenza citata è dunque univoca nell’affermare l’illegittimità dell’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie prescritta dalla circolare dell’epoca fascista, sia per contrasto con principi costituzionali di laicità, di imparzialità e di legalità, sia per contrasto con il diritto fondamentale della libertà  di religione e di coscienza.

E) L’ostensione del crocifisso: significati e valenze.
(36)           Si ribadisce che l’ordinamento italiano considera il crocifisso come un simbolo religioso e che  la giurisprudenza qualifica pacificamente i crocifissi quali “oggetti di devozione e di culto” (e non oggetti di arredamento, come un tavolo o una sedia), e ravvisa pertanto il reato previsto e punito dall’art. 404 c.p. [Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose] nella condotta di chi vilipenda, distrugga, deteriori o imbratti tale simbolo in un luogo pubblico o aperto al pubblico, quale sarebbe per l’appunto un’aula di tribunale (in tal senso si veda Cassazione penale, sez. I, sentenza 28 ottobre 1966, Fagiali; Cassazione penale, sez. III, 21 dicembre 1967, Conti; Tribunale di Padova, 14 giugno 2005, Smith).
(37)           Si ribadisce che nel diritto italiano l’esposizione del crocifisso sulla propria persona o in altro luogo di appartenenza è considerata un atto di manifestazione di libertà religiosa, cioè di professione e di propaganda di fede, come si ricava dall’art. 58, comma 2, del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) che, tra le “manifestazioni della libertà religiosa” consentite ai detenuti, prevede appunto l’esposizione “nella propria camera individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera a più posti” di “immagini e simboli della propria confessione religiosa”. Lo stesso Ministro di Giustizia, del resto, ha sostenuto, nel ricorso al TAR promosso dal Tosti per la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie, che questa “ostensione” rappresenta un “atto di manifestazione di fede ex art. 19 Costituzione” da parte…. dello Stato “laico” italiano!!!!
(38)           Giova ricordare che i primi tribunali nei quali sono stati esposti i crocifissi sono stati i criminali Tribunali della Santa Inquisizione e che ancor oggi la Chiesa li espone nei Tribunali ecclesiastici. Il loro scopo è quello di ostentare la fede in Dio e di connotare di sacralità cristiana l’esercizio della funzione giurisdizionale. Il ricorrente non avanza ovviamente dubbi sulla liceità dell’ostensione del crocifisso nei tribunali ecclesiastici, sia perché si tratta di una scelta che rientra nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di libertà religiosa della Chiesa, sia perché, trattandosi di tribunali “confessionali”, l’esposizione del “vessillo” della Chiesa e del Vaticano è del tutto fisiologica ed assume la stessa valenza “identitaria” che assumono, nei tribunali “laici”, le bandiere e gli altri simboli dell’Autorità statale. Il ricorrente ritiene, anzi, che né lo Stato italiano né altri potrebbe imporre alla Chiesa Cattolica l’obbligo di esporre nei tribunali ecclesiastici la bandiera italiana o i simboli religiosi di altra confessione: si tratterebbe, infatti, di un’indebita ingerenza che violerebbe sia il principio di “confessionalità” della Chiesa cattolica che il suo diritto di libertà religiosa.
(39)           Alla stessa stregua, però, il ricorrente ritiene che né al Vaticano né alla Chiesa Cattolica né al Ministro di Giustizia competa il diritto di imporre ai cittadini italiani e alla Repubblica italiana -che è e deve essere neutrale e aconfessionale- l’obbligo di esporre nei tribunali italiani il “vessillo” della religione cattolica: si tratta, infatti, di un’ingerenza altrettanto indebita, che viola non solo l’obbligo dello Stato italiano (e quindi dei giudici) di amministrare la giustizia in modo visibilmente imparziale e neutrale, ma anche il diritto di libertà religiosa delle persone che, per motivi di lavoro o di giustizia, sono costrette a frequentare gli uffici giudiziari.
(40)           L’esposizione del crocifisso nelle aule di giustizia italiane significa, infatti: a) condivisione e propaganda della fede dei cattolici, in violazione così del diritto (negativo) di libertà religiosa di tutti coloro che sono costretti –o per motivi di lavoro o per esigenze di giustizia– a frequentare quelle aule; b) evocare e trasmettere il messaggio simbolico secondo cui la funzione giurisdizionale è esercitata sotto la tutela di una confessione religiosa, in dispregio del principio supremo di laicità che vieta a qualsiasi istituzione pubblica di professare una fede religiosa ed impone, al contrario, l’obbligo della neutralità di chi (come il magistrato) è chiamato ad esercitare la giurisdizione; c) evocare e trasmettere il messaggio monoconfessionale secondo cui nelle aule di giustizia italiane è ammessa soltanto la simbologia religiosa cattolica, in lesione del diritto alla non discriminazione religiosa di chi, non essendo cattolico o credente, non ha la pari opportunità di veder esposti e di propagandare i propri simboli in uno spazio pubblico.
(41)           Nel caso di specie, i valori evocativi del messaggio religioso del crocifisso risultano non tollerabili né per il ricorrente Luigi Tosti né per il suo difensore Avv. Carla Corsetti, che non accettano di condividere un simbolo e una religione che non gli appartengono e che non accettano di subire la celebrazione del presente processo da parte di giudici che, al pari dei giudici dell’Inquisizione e dei tribunali ecclesiastici, “giudicano” sotto la tutela simbolica di quel vessillo e di quel messaggio.
(42)           Il ricorrente Luigi Tosti e il suo difensore Avv. Carla Corsetti sono persone che nell’esercizio del loro insindacabile diritto individuale di libertà religiosa sono avverse a qualsiasi forma di simbolismo religioso o di idolatria, tant’è che non espongono sulle loro persone o negli spazi privati che hanno a disposizione simboli, idoli o cosiddette immagini sacre.
(43)           Luigi Tosti è un cittadino italiano che, dopo aver superato un concorso pubblico in magistratura, ha accettato di lavorare alle dipendenze del Ministero di Giustizia di una Repubblica “laica” e, quindi, in tribunali che non possono imporre né ai dipendenti né ai cittadini giustiziabili l’obbligo di condividere atti di manifestazioni di libertà religiosa né connotazioni religiose partigiane dell’attività lavorativa espletata. In particolare, lo statuto costituzionale della funzione giurisdizionale stabilisce che “la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101 Cost.), legge davanti alla quale tutti i cittadini “sono eguali, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
(44)           Per contro, Luigi Tosti e il suo difensore Avv. Carla Corsetti non hanno scelto di essere processati o di “esercitare la professione forense” in un Tribunale ecclesiastico, cioè al cospetto o all’interno di un Ente religioso per il quale il crocifisso assume indubbiamente caratteristiche identitarie che sono essenziali e determinanti per lo svolgimento della sua attività confessionale: se lo avessero fatto, non avrebbero potuto accampare-e non accamperebbero oggi- la pretesa di far rimuovere i crocifissi dalle aule giudiziarie italiane o di esporre i propri simboli religiosi ma, al contrario, avrebbero dovuto subire la limitazione dei loro diritti di libertà e di eguaglianza religiosa. In tal senso si è pronunciata la CEDH nell’arresto del 20 ottobre 2009, relativo all’affaire Lombardi Vallauri c. Italia, requête no 39128/05, par. 41 e 44, laddove si è ritenuta legittima la restrizione del diritto di libertà di espressione (art. 10) e del diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9) di un professore universitario, perché “giustificata dalla scopo di tutelare un “diritto altrui”, cioè l’interesse di un’Università cattolica a dispensare un insegnamento conforme alle convinzioni religiose dell’Ente universitario[2].
(45)           Ad opposte conclusioni si deve però pervenire nel caso di specie. La restrizione della libertà religiosa del Tosti e del suo difensore non si giustifica, infatti, né per la qualità soggettiva del Ministero di Giustizia e della Cassazione, né per la “natura” del processo penale che deve essere celebrato il 6 giugno prossimo dinanzi alla Corte Suprema: il Ministero della giustizia non è un ente religioso e la Corte di Cassazione non è un Tribunale ecclesiastico ma, al contrario, sono entrambi organi (amministrativi e giurisdizionali) di uno Stato laico che, dunque, sono tenuti all’assoluta neutralità religiosa e al rispetto dei diritti di coscienza, di libertà religiosa e di eguaglianza di tutti coloro che sono costretti a frequentarli per “motivi di giustizia”. Per altro verso poi, l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie non è giustificata dalla natura “religiosa” dell’attività giurisdizionale che viene espletata dai tribunali italiani ma, anzi, vi si pone in insanabile conflitto, perché calpesta il principio di neutralità e di imparzialità dei giudici,  sancito dalla Costituzione italiana (art. 111) e dalla Convenzione (art. 6).
(46)           Riepilogando, il ricorrente e il suo difensore sostengono che il Ministro di Giustizia –non essendo un Ente religioso– non può limitare la loro libertà religiosa, di pensiero e di coscienza, imponendo loro di condividere nelle aule giudiziarie l’esposizione del crocifisso come “simbolo venerato” e conferendo ai giudici che celebrano il processo connotazioni confessionali smaccatamente cattoliche: connotazioni che la loro coscienza e libertà non tollerano, sia perché contrarie ai loro convincimenti religiosi, sia perché contrarie ai precetti costituzionali e convenzionali che impongono allo Stato italiano e ai giudici di essere neutrali e imparziali nell’esercizio dell’attività giurisdizionale.
(47)           E’ bene puntualizzare che Luigi Tosti e l’Avv. Carla Corsetti non si sono mai doluti del fatto che le persone che frequentano gli uffici giudiziari possano esporre sulla propria persona i crocifissi (o altri simboli): si tratta infatti di manifestazioni di libertà religiosa dei singoli cittadini che sono garantite – anche in luoghi pubblici–  dall’art. 9 della Convenzione e dall’art. 19 della Costituzione e che, pertanto, non ledono i diritti di libertà religiosa altrui, perché sono “neutralizzate” dall’identica facoltà che è concessa –in positivo o in negativo–  a tutti coloro che praticano fedi diverse o che non ne praticano alcuna. Gli esponenti ritengono, anzi, che di fronte all’ostensione dei simboli religiosi altrui – ancorché non condivisi–  si imponga, di regola, la “tolleranza”: la quale però implica, in un regime democratico che si fonda necessariamente sull’eguaglianza e pari dignità di qualsiasi ideologia religiosa o filosofica, che la “tolleranza” sia reciproca -e non a senso unico- e che dunque vi debba essere un reciproco rispetto delle opinioni, anche se non condivise.
(48)           Il ricorrente e il suo legale contestano che il Ministro di Giustizia di uno Stato laico possa imporre l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie, e cioè in luoghi che debbono essere indefettibilmente neutrali. In questo modo, infatti, l’ostensione del crocifisso nelle aule di giustizia non è più un legittimo atto di “manifestazione di libertà religiosa” “in un luogo pubblico”, ma un’imposizione e un’ingerenza indebite nella sfera di libertà religiosa di chi –come il Tosti e l’Avv. Corsetti–  sono contrari a qualsiasi forma di idolatria e non si identificano in quel simbolo e, anzi, se ne dissociano per gli efferati crimini contro l’umanità che sono stati commessi in suo nome- ma che, tuttavia, sono costretti a condividerli negli ambienti giudiziari che debbono necessariamente frequentare per poter esercitare le proprie prerogative difensive, senza avere nemmeno l’opportunità di neutralizzarli con l’esposizione dei propri od altri simboli.
(49)           L’imposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie non può essere considerata un atto “neutro” ai fini del rispetto della libertà religiosa, così come non lo sarebbe l’obbligo di partecipare alle udienze col crocifisso al collo o cucito sulla toga del giudice e/o dell’avvocato e/o dell’imputato. E se un crocifisso o altra simbologia religiosa appesi al collo o cuciti sulla toga connotano di partigianeria religiosa l’esercizio della giurisdizione e ledono la libertà religiosa dei soggetti che sono obbligati ad indossarli, un crocifisso appeso sulla parete non può non avere la stessa identica valenza religiosa, gli stessi identici significati e gli stessi effetti pregiudizievoli sulla libertà dei soggetti obbligati a subirli e sul rispetto del principio dell’ equo processo da parte di giudici imparziali.
(50)           La circostanza che in Italia molti si siano “assuefatti” alla visione dei crocifissi –perché sono rimasti appesi alle pareti fin dall’epoca del fascismo– non deve indurre all’erroneo convincimento che la loro imposizione sia ininfluente con l’argomento che il crocifisso è un simbolo “passivo” che non obbliga nessuno a credere: il diritto negativo di libertà religiosa, infatti, non implica soltanto quello di non essere obbligati a credere in una religione, ma anche quello di non essere costretti a subire o condividere atti di manifestazioni di libertà religiosa altrui, senza peraltro avere possibilità di neutralizzarli -come avviene nel caso di specie- con l’esercizio di contrapposte manifestazioni: il Ministro di Giustizia e il Presidente del Tribunale di Camerino hanno infatti proibito (ed anzi rimosso) l’esposizione della menorah ebraica e del logo dell’UAAR,  e il CSM e le SS.UU. civili della Cassazione hanno da parte loro sancito che “per esporre i simboli degli ebrei (e di altre confessioni religiose) occorrerebbe una “legge” del Parlamento”: argomento, questo, specioso e oltraggioso, perché la Costituzione Italiana e la Conv. sui diritti dell’Uomo garantiscono agli ebrei (e non solo agli ebrei) gli stessi diritti e la stessa dignità che lo Stato italiano accorda ai “cattolici”: non esistono né “razze” superiori né “fedi” superiori.
(51)           L’imposizione del crocifisso non può essere considerato un atto anodino perché, altrimenti, dovrebbe ritenersi altrettanto anodina l’imposizione a tutti i cittadini italiani dell’obbligo di esporre i crocifissi nelle abitazioni: il che non può essere giustificato, perché l’ostensione di un simbolo religioso è un atto di manifestazione di libertà religiosa che, come tale, non può essere imposto a nessuno.
(52)           Concludendo, il ricorrente e il suo difensore ritengono che la restrizione del diritto negativo di libertà religiosa e di coscienza (art. 9 CEDU), provocata dall’imposizione del crocifisso, può essere giustificata solo per chi ha scelto, volontariamente, di adire la giurisdizione di un tribunale ecclesiastico o di esercitarvi le funzioni di avvocato: ma non per chi è costretto a frequentare come imputato o come avvocato un tribunale laico che, sia in base all’art. 6 della Convenzione che in base all’art. 111 della Costituzione italiana, deve essere connotato da assoluta imparzialità e neutralità, e non da partigianeria religiosa.
(53)           Sul piano della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo va considerato che nell’organizzare il servizio della giustizia le Parti Contraenti debbono rispettare l’art. 6, § 1, che garantisce il diritto ad una giustizia che, oltre ad essere imparziale, appaia tale.
In Klein c. Pays– Bas, del 6 maggio 2004, ai §§ 190 ss., la Grande Chambre ha sottolineato che anche l’apparenza di imparzialità è una qualità importante per i tribunali, perché i dubbi al riguardo debbono essere esclusi ed i soggetti devono poter aver fiducia nel giudice:
Quant à la condition d’«impartialité», au sens de l’article 6 § 1 de la Convention, elle revêt deux aspects. Il faut d’abord que le tribunal ne manifeste subjectivement aucun parti pris ni préjugé personnel. Ensuite, le tribunal doit être objectivement impartial, c’est– à– dire offrir des garanties suffisantes pour exclure tout doute légitime à cet égard. Dans le cadre de la démarche objective, il s’agit de se demander si, indépendamment de la conduite personnelle des juges, certains faits vérifiables autorisent à suspecter l’impartialité de ces derniers. En la matière, même les apparences peuvent revêtir de l’importance. Il y va de la confiance que les tribunaux d’une société démocratique se doivent d’inspirer aux justiciables, à commencer par les parties à la procédure”.
(54)           L’importanza dell’apparenza, in questo settore, è stata ribadita dalla giurisprudenza successiva della CEDH: così, ad esempio, Sacilor Lormines c. France, del 9 novembre 2006, § 60 e Micallef c. malte, del 15 ottobre 2009, § 98, la quale, richiamando diversi precedenti ci ricorda che “«justice must not only be done, it must also be seen to be done» (il faut non seulement que justice soit faite, mais aussi qu'elle le soit au vu et au su de tous)”.
(55)           Ora, una giustizia amministrata in locali arredati col crocifisso per definizione appare non imparziale sotto il profilo della equidistanza rispetto ai convincimenti religiosi. D’altro canto, se l’esposizione del crocifisso appare del tutto lecita e giustificata nei tribunali ecclesiastici, perché è deputata a connotare di “confessionalità” e di “sacralità” l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quei giudici, essa appare del tutto illecita e ingiustificata nei tribunali della Repubblica italiana che, per dettato costituzionale, debbono essere laici e neutrali.
(56)           Per convincersene, basta pensare a quale sarebbe l’immagine della funzione giurisdizionale se essa fosse amministrata in aule invariabilmente arredate soltanto con il simbolo di un determinato partito politico.
(57)           In ogni caso si ribadisce la richiesta, subordinata, di esposizione delle menorà e dei simboli atei  a fianco dei crocifissi: se si ritiene infatti lecito che i cattolici possano manifestare la loro libertà religiosa, “marcando” le aule di giustizia con il crocifisso e connotando, pertanto, di confessionalismo cattolico l’esercizio della giurisdizione, identico diritto deve essere necessariamente accordato agli ebrei, agli atei, ma anche agli islamici e a chiunque abbia fede, credo o cultura diversa. Salvo che, ovviamente, il Ministro di Giustizia e i Giudici della Cassazione non ritengano che i “cattolici” appartengano ad una “razza superiore”.

G) La sentenza Lautsi c. Italie della Grande Chambre del 18 marzo 2011

(58)           Si sottolinea l’assoluta irrilevanza della pronuncia (Lautsi c. Italia) del 18 marzo 2011, con la quale la Grande Chambre della CEDH ha ritenuto che l’esposizione del crocifisso in un’aula scolastica non fosse lesiva del diritto dei genitori di educare i figli secondo i propri convincimenti (art. 2 del Primo protocollo addizionale) e della libertà religiosa dei genitori e degli alunni (art. 9). Con questa sentenza, infatti, la CEDH ha affermato che il “crocifisso” è un “simbolo passivo” che “non indottrina”, cioè non induce a credere: tuttavia l’imputato Tosti e il suo legale avv. Corsetti non hanno mai sostenuto la tesi bislacca che il crocifisso appeso nelle aule di giustizia interferisca con i loro neuroni cerebrali, inducendoli a “credere” o  a convertirsi al cattolicesimo. Hanno al contrario affermato che si tratta di un’imposizione che lede il principio supremo di laicità e i loro diritti negativi di libertà e di eguaglianza religiosa, essendo loro inibito  di apporre i propri simboli a fianco del crocifisso. D’altro canto, se si ritiene che “sia giusto” che  coloro che non sono cattolici debbano subire l’imposizione dei crocifissi perché si tratterebbe di “simboli passivi”, anche i cattolici debbono subire l’imposizione dei simboli ebraici, atei, islamici etc. etc. per lo stesso motivo, cioè perché si tratta di simboli altrettanto passivi. La tolleranza, si ribadisce, implica il rispetto reciproco, e non il rispetto a…. senso unico!
(59)           Va comunque rimarcato che la giurisprudenza interna sopra menzionata (CSM, SS.UU. Civili e Cassazione penale), con la quale si è affermato che il crocifisso nelle aule di giustizia viola il principio di laicità e i diritti inviolabili di libertà e di eguaglianza religiosa, giammai può essere neutralizzata o disattesa con il richiamo di sentenze della CEDH che siano meno favorevoli di quelle pronunciate dai giudici interni: infatti, utilizzare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per ridurre il livello di garanzie offerte dall’ordinamento interno è vietato dall’art. 53 della CEDU e contrasta con l’insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui la giurisprudenza di Strasburgo non può mai tradursi in una diminuzione del livello di tutela rispetto a quello previsto nell’ordinamento interno, dovendo il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali essere effettuato “mirando alla massima espansione delle garanzie” (cfr. Corte cost., sent. 264 del 2012).

4. QUARTO PUNTO.
Come quarto punto prospetto all’attuale Capo dello Stato della Città del Vaticano, Papa Jorge Mario Bergoglio, che il suo predecessore Josef Ratzinger e le Gerarchie della Chiesa Cattolica hanno sempre preteso e caldeggiato l’ostensione dei crocifissi nelle aule di giustizia e negli uffici pubblici della Repubblica italiana, sostenendo che questo simbolo religioso incarna “i valori storico culturali che sono alla base della Costituzione italiana” e che impregnano le “radici giudaico-cristiane dell’Europa”.
Dal momento che l’Italia non è una Colonia del Vaticano e dal momento che la Costituzione Repubblicana italiana è fondata sul principio supremo di laicità -che implica neutralità, equidistanza ed imparzialità dello Stato nei confronti di qualsiasi religione e dell’ateismo e, altresì, sul diritto di libertà e di eguaglianza religiosa di qualsiasi essere umano e di qualsiasi confessione religiosa, invito pubblicamente il Pontefice Jorge Mario Bergoglio a rivedere la posizione del Vaticano e della Chiesa in merito all’esposizione, in regime di monopolio, del crocifisso cattolico nelle aule di giustizia italiane e, pertanto, Lo “invito”, stante l’inerzia della Magistratura italiana, ad intervenire presso l’attuale Ministro di Giustizia affinché rimuova quel simbolo in ossequio alla Costituzione ed ai diritti di libertà e di eguaglianza religiosa o, in subordine, che esponga a fianco del crocifisso la menorah ebraica.
Nel caso che Ella non aderisca a questo invito,  Le chiedo di spiegare -PUBBLICAMENTE e magari in occasione del prossimo Angelus- quali siano i “motivi” che renderebbero legittima l’ostensione del “crocifisso” nelle aule di giustizia italiane ed “illegittima”, per contro, l’esposizione della menorah ebraica.
In caso di Suo persistente “silenzio” -e di silenzio delle Gerarchie ecclesiastiche della Chiesa- sarò autorizzato a ritenere che Ella e la Chiesa Cattolica -al pari di altri Pontefici e di quelli che Lei e la Sua Chiesa venerate come “Santi” e come “Dottori della Chiesa” (mi limito a citare Efrem, San Giovanni Crisostomo, San Paolo, Sant’Ambrogio, San Cirillo, San Giustino, San Tertulliano, San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino, San Cipriano, San Gregorio di Nissa, Sofronio Eusebio Girolamo, il “beato” Bernardino da Feltre, Papa Innocenzo III, Papa Leone I, Papa Paolo IV, Papa San Pio V, Papa Clemente IV, Papa Clemente VIII, Papa Giovanni XXII, Papa Benedetto XIV, Papa Gregorio XVI, “Beato” Papa Pio IX) siate contrari all’esposizione della menorà perché considerate tuttora gli ebrei come “una razza dannata; deicidi; peste dell’umanità; un branco di ruffiani ed usurai; mentecatti, nature servili, servitori del demonio, spirito immondo, preda del diavolo anche all'interno del suo tempio sacro, la sinagoga, che è divenuta caverna di briganti e rifugio per le bestie selvatiche; non migliori dei maiali e dei montoni; schiavi tollerati dalla Chiesa, che ben meritano la punizione divina che è stata loro riservata; razza persecutrice, vessatrice, tirannica, ladra e devastatrice; insolenti, caparbi, sporchi, ladri, bugiardi, seccatori,  che vivono per il ventre;  dispersi fra tutte le nazioni a testimonianza della loro malvagità e della verità della fede cattolica;  avvocati del diavolodemoni, serpenti la cui immagine è Giuda e la cui preghiera è un raglio d'asino; banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali... Per il loro deicidio non c'è possibilità di perdono, dispersi in schiavitù per sempre... Dio odia gli ebrei e li ha sempre odiati”.

            Le ricordo, Egregio Pontefice, che i cristiani -e in particolare la sua “Chiesa Cattolica”- sono stati gli artefici primari -negli ultimi 1700 anni- dell’antisemitismo e  della persecuzione razziale degli ebrei, poi sfociata nella shoah e nelle immonde leggi razziali naziste e fasciste: le quali -è doveroso evidenziarlo- non sono da imputare ad islamici, a buddisti né, tanto meno, agli atei o agli agnostici, bensì ai “cristiani”, la massima parte dei quali di fede “cattolica”.
Le ricordo che il XVII Concilio di Toledo, celebratosi nel 694, ridusse tutti gli Ebrei alla condizione di “schiavi”. Le ricordo che nell’anno 306 d. C. venne proibito il matrimonio e i rapporti sessuali tra cristiani ed Ebrei, nonché la consumazione comunitaria dei pasti. Le ricordo che il Sinodo di Clermond, 535 d. C., poibì agli Ebrei di ricoprire cariche pubbliche  e di dar lavoro a collaboratori cattolici. Le ricordo che il XII Sinodo di Toledo, nel 681, decretò “la distruzione col fuoco di ogni libro ebraico”, mentre il Concilio di Costantinopoli del 692 fece divieto ai cristiani di farsi visitare da medici Ebrei.
Le ricordo che per lunghissimo tempo nessun ebreo ha mai potuto citare un cattolico in un giudizio, né deporre come testimone a suo carico.
Le ricordo che i primi cristiani hanno perseguitato non solo i pagani -vietando loro la libertà di culto, massacrandoli ed abbattendo i templi degli “Dei falsi e bugiardi”- ma anche distruggendo le sinagoghe degli ebrei.
Le ricordo che il razzista “Sant’Ambrogio” -cioè l’attuale “Santo protettore” di Milano- ha giustificato ed appoggiato l’incendio delle sinagoghe, vantandosi con Teodosio “di aver dato alle fiamme la sinagoga”  perché si trattava di “un "atto glorioso", affinché "non possa esserci luogo in cui Dio è negato”.
Le ricordo che il Concilio Lateranense IV (1215) dispose, per distinguere i cattolici dagli ebrei, che questi ultimi cucissero, sotto comminatoria di sanzioni severe, un distintivo giallo sugli abiti indossati, perché questo colore rappresentava nel Medioevo la cattiveria e l'invidia, caratteristiche attribuite agli ebrei; vietò loro di comparire in pubblico durante il Triduo pasquale; li escluse da qualunque ufficio pubblico che comportasse un'autorità sui cristiani, imponendo l’obbligo di restituire ai cristiani quanto da essi ricevuto per tali uffici (“poiché…riescono assai molesti ai cristiani”); proibì agli ebrei convertiti al cristianesimo di ritornare ai propri culti e all’ebraismo; vietò ai cristiani di avere rapporti commerciali con gli ebrei e impose agli ebrei di pagare le decime alla Chiesa.
Le ricordo che la “ghettizzazione” degli ebrei non è un’ “invenzione” dei criminali nazisti tedeschi e dei criminali fascisti italiani, ma che essa fu imposta -per la prima volta nella storia dell’umanità- dal criminale Pontefice Paolo IV con l’infame bolla Cum nimis absurdum del 14.7.1555. Le ricordo che questa “ghettizzazione” fu inasprita, con l’infame bolla Hebraeorum gens sola quondam a Deo dilecta del 26.2.1569, dal criminale Papa Inquisitore Pio V, che tutt’ora viene venerato come “Santo” dalla Sua Chiesa. Le ricordo che la ghettizzazione ed altre infami imposizioni e divieti vennero imposti agli ebrei anche con la bolla Caeca et obdurata del 25.2.1593 del criminale Papa Clemente VIII.
Le ricordo che gli effetti di queste infami bolle furono devastanti per i sudditi dello Stato Pontificio di religione ebraica. Gli ebrei residenti nei centri più prossimi a Roma e ad Ancona riuscirono a rifugiarsi nelle due città, ma la maggior parte di essi fu costretta ad emigrare in altri stati d'Italia e d'Europa. Dopo la bolla di Clemente VIII, l'esodo degli ebrei, non residenti a Roma o ad Ancona, fu totale. Intere comunità vennero condannate all'estinzione, come quelle di RavennaOrvieto,Viterbo, Camerino, PerugiaSpoleto e Terracina.
Le ricordo che dal 1492 tutti gli ebrei spagnoli (e più tardi i musulmani) furono costretti a convertirsi al cristianesimo o ad espatriare: 50.000 ebrei si “convertirono” (coattivamente) al cristianesimo ma, per il sospetto che le conversioni non fossero sincere, vennero dispregiativamente bollati come “marranos”;  200.000 ebrei lasciarono tutto e furono costretti ad espatriare. Molti, per ironia della sorte, trovarono rifugio a Roma, dove dovettero poi subire le altrettanto infami bolle papali di Paolo IV, di Pio V e di Clemente VIII.
Le ricordo che grazie a queste “bolle papali” gli ebrei furono costretti a portare un segno distintivo sull'abito (obbligo ripreso secoli dopo dal nazismo); che essi dovevano abitare nel ghetto, luogo chiuso e recintato, con un portiere cristiano pagato dagli ebrei; che dovevano farvi rientro dopo il tramonto; che dovevano chiedere un permesso per muoversi all'interno dello stato; che non potevano possedere immobili in proprietà, ma solo in affitto; che non potevano iscriversi alle università e dunque laurearsi. Che non potevano esercitare nessuna professione “liberale” (medicina, giurisprudenza…) se non il piccolo commercio (rivendita di stracci vecchi); che ogni settimana un terzo della popolazione ebraica, a turno, doveva ascoltare una predica cristiana fatta in una chiesa fuori del ghetto.
Le ricordo che sul conto degli ebrei furono diffuse dai cristiani le più assurde ed infami credenze ed accuse, quali quelle che il giudaismo prescriveva sacrifici rituali di cristiani e che gli ebrei impastassero la matzah, il pane azimo pasquale, col sangue dei cristiani. Le ricordo che queste credenze furono la causa di stragi e di linciaggi di ebrei, che vennero perpetrati sino alla fine del diciannovesimo secolo, anche grazie alle infamie ed alle criminali istigazioni razziali diffuse da Civiltà Cattolica, il giornale politico voluto e fondato da Pio IX nel 1850.
Le ricordo che grazie alle “Crociate”, scatenate dalla Chiesa al grido di “Dio lo vuole!” per “liberare la Terra Santa”, furono sterminati non solo milioni di islamici, ma anche centinaia di migliaia di ebrei: il 15.7.1099 circa 60.000 tra ebrei e islamici furono massacrati dai crociati a Gerusalemme.
Non mi consta che la Chiesa li celebri come “martiri”, a differenza degli 800 martiri di Otranto, che sono stati da Lei “beatificati” di recente per essere stati decapitati dagli islamici il 14.8.1480.
 Le ricordo che “San Francesco”, “patrono“ d’Italia, partecipò alla V Crociata è giustificò le crociate come legittime forme di pellegrinaggio armato con queste parole riportate da Frate Illuminato: “i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi!"
Le ricordo che nella Roma papale del 1814 i rabbini romani dovevano ancora comparire, durante il carnevale, vestiti di nero, con calzoni corti, con mantellina e con una sorta di cravatta, per essere dileggiati e scherniti dalla folla dei "civilissimi" e "tolleranti" Cattolici.
Le ricordo che gli ebrei erano costretti da Santa Romana Chiesa, ogni sabato pomeriggio, a recarsi ad una vicina chiesa cattolica per presenziare a "prediche coatte" miranti alla loro conversione, durante le quali venivano infamati per la loro abietta religione e per il "crimine" perpetrato dal popolo ebreo ai danni di Cristo.
Le ricordo che secondo l'editto sopra gli ebrei del 6.6.1733 dell'inquisitore domenicano di Bologna De Andujar gli ebrei dovevano rimanere nel ghetto, di notte, che non potevano leggere il Talmud né alcun testo proibito, che dovevano "gli ebrei dell'uno, e dell'altro sesso, portare il segno di color giallo, per cui vengano distinti dagli altri, e debbano sempre portarlo in ogni tempo, tanto dentro il Ghetto, quanto fuori. Gli uomini debbano portarlo sopra il cappello ben cucito sopra, e sotto la falda, senz'alcun velo o fascia.....e le donne lo debbano portare in capo scopertamente senza mettervi sopra il fazzoletto, o altra cosa, con cui venga nascosto."
Le ricordo che agli ebrei era fatto divieto di assumere personale cattolico alle proprie dipendenze, per evitare il rischio di contaminazione della religione cattolica.
Le ricordo che Santa Romana Chiesa Cattolica ha perpetrato abitualmente il crimine del rapimento dei bambini ebrei che fossero stati “battezzati”, anche contro la volontà dei genitori. Questi bambini venivano sottratti ai genitori ebrei per essere indottrinati coattivamente al culto della religione cattolica.
Le ricordo che uno di questi criminali rapimenti fu perpetrato, su ordine del “Beato” Papa Pio IX,  dall'Inquisitore di Bologna, padre Feletti, ai danni di Edgardo Mortara, la notte del 23.6.1858. Le ricordo che per il criminale rapimento di Edgardo Mortara padre Feletti venne giudicato dal Tribunale Penale di Bologna "non colpevole perché l'ablazione fu fatto di Principe", cioè perché il rapimento fu opera diretta del "mandante" Papa Pio IX. Le ricordo che il Beato Pio IX rimase fermo sostenitore che gli ebrei dovessero vivere come “ospiti”, beneficiando della "carità cristiana" sino a che non avessero abbracciato la Vera Fede Cattolica, e che stigmatizzò l'orientamento degli altri Stati italiani che concessero eguali diritti agli ebrei, infuriandosi quando apprese che il granducato di Toscana, dopo la restaurazione del regime, aveva conservato agli ebrei eguali diritti, ivi incluso quello di frequentare l'università (Prigioniero del Papa Re -Storia di Edgardo Mortara, ebreo, rapito all'età di sei anni da Santa Romana Chiesa nella Bologna del 1858, David I. Kertzer, Rizzoli Edit.).
Le ricordo che Pio XII, non pago dei concordati stipulati con le criminali dittature di Hithler e Mussolini, nonché dell'olocausto perpetrato dai cristiani ai danni di milioni di ebrei e rom, approvò il 20.10.1946 la delibera del Sant'Uffizio sui bambini ebrei accolti da istituzioni e famiglie cattoliche in Francia durante l'occupazione nazista, con la quale “raccomandò di non rispondere per iscritto alle comunità israelitiche che chiedono la restituzione dei minori e suggerì di prendere tempo per esaminare ogni richiesta caso per caso, specificando innanzitutto che "i bambini ebrei battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l'educazione cristiana» e, quanto ai non battezzati, sconsigliò di sottrarre gli orfani alla custodia della Chiesa per affidarli a «persone che non hanno alcun diritto su di loro», ammettendo solo la restituzione dei bambini reclamati dai loro genitori, purché i piccoli «non abbiano ricevuto il battesimo».
Le ricordo che Benito Mussolini, cioè l'Uomo inviato dalla Divina Provvidenza, farà tesoro di questa criminale "prassi" cattolica, sancendo in una delle leggi razziali che "Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali".
Le ricordo che la discriminazione, la ghettizzazione, la deportazione e lo sterminio dei 6.000.000 di ebrei, rom, omosessuali non è da imputare agli atei, agli agnostici, ai “relativisti”, ai buddisti, ai raeliani, agli islamici, bensì ai cristiani nazisti e fascisti, la massima parte dei quali cattolici.
Le ricordo che questi crimini contro gli ebrei si sono consumati grazie ai concordati e alle collaborazioni con i regimi nazisti e i fascisti della Chiesa e all’assordante silenzio col quale Pio XII li ha accompagnati.
Le ricordo che i criminali fascisti che approvarono le vergognose leggi razziali erano cattolici, e non atei, agnostici o relativisti
Le ricordo che Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, disse che “tutti gli assassini dell’Olocausto erano cristiani, e che il sistema nazista non comparve dal nulla, ma ebbe profonde radici in una tradizione inseparabile dal passato dell’Europa cristiana”: quelle stesse “radici” alle quali -soltanto per ragioni di coscienza sporca- vorreste abbinare oggi quelle “giudaiche”.
Le ricordo  che Pio XII ha accreditato e ricevuto regolarmente, negli anni 1942-43, il dittatore Ante Pavelic, un cattolico praticante responsabile, assieme agli ustascia cattolici Croati, dello sterminio nei campi di concentramento di circa 300/600.000 tra serbi cristiano-ortodossi ed ebrei. Le ricordo che il più famigerato lager era quello di Jasenovac e che il suo comandante fu Miroslav Filipovic, un frate francescano noto con l'appellativo di "Bruder Tod" (sorella morte). In questo campo gli ustascia cattolici hanno bruciato le loro vittime nei forni, ma vive, diversamente dai nazisti che, almeno, le uccidevano prima col gas. Molti degli ustascia erano monaci francescani e le loro nefandezze suscitarono addirittura le proteste delle SS tedesche. Pio XII, ben informato di queste atrocità, nulla fece per impedirle (A. Manhattan, The Vatican's Holocaust, Springfield, 1986).
Le ricordo che al termine della seconda guerra mondiale il Vaticano ha agevolato, fornendo abiti talari e falsi passaporti del Vaticano, la fuga in Sudamerica di numerosi gerarchi nazisti, quali Klaus Barbie, Friedrich Schwend, Erich Priebke, Adolf Eichmann, Joseph Mengele, Franz Stangl, sottraendoli alla giustizia dei Tribunali per i crimini di guerra e garantendo loro l’impunità.
           
            Soltanto sulla base di questi dati storici mi riesce impossibile tollerare l’imposizione del crocifisso: non tanto per la Divinità che esso incarnerebbe -posto che nessuno dei miliardi di dei inventati dall’uomo ha mai torto un cappello a qualcuno- quanto per i crimini efferati contro l’umanità che sono stati perpetrati, dai cristiani, “in nome di quel Dio”.
            Sotto questo profilo il crocifisso è un simbolo irrimediabilmente squalificato e non degno di essere esposto nei Tribunali, dove per legge si dovrebbero affermare gli opposti principi della legalità, del rispetto dei diritti umani e del rispetto della Costituzione.
            La Costituzione Italiana non “insegna” che è “giusto” invadere la Palestina e la Terra Santa con “pellegrinaggi armati” per sterminare gli “infedeli” musulmani ed ebrei. La Costituzione italiana non insegna che è giusto sterminare o incarcerare i pagani, gli ebrei, gli atei, i rom, gli omosessuali e le streghe. La Costituzione italiana non insegna che è lecito condannare al carcere o far ardere sui roghi gli eretici e coloro che pensano che sia la Terra a girare attorno al Sole, e non viceversa. La Costituzione italiana non insegna che le donne sono esseri inferiori all’uomo e che, in quanto tali, non possono accedere alla magistratura e all’elettorato attivo e passivo, come tuttora fa la Chiesa cattolica che nega alle donne l’accesso alle cariche di sacerdoti, di vescovi, di cardinali e di  papi. La Costituzione italiana non insegna che è lecito ed encomiabile proteggere omertosamente e a livello planetario i preti pedofili e i criminali di guerra nazisti. La Costituzione italiana non insegna che è lecito discriminare gli omosessuali e bollarli, pubblicamente e con disprezzo, come “depravati”. La Costituzione italiana non disconosce il diritto di libertà religiosa e non sanziona con l’ “apostasia” chi, dopo essere stato battezzato secondo il rito cattolico, decide di passare ad altra religione o all’ateismo. La Costituzione italiana non insegna che è lecito rapire i bambini degli ebrei se qualcuno, di nascosto, li ha “battezzati” con formule sacramentali ed aspersione di gocce d’acqua.
La Costituzione italiana non insegna che è lecito condannare al carcere o al rogo chi manifesta il libero pensiero e formula ipotesi scientifiche. La Costituzione italiana non insegna che è lecito riciclare, attraverso istituti di credito come lo IOR, il danaro proveniente da attività criminali e da evasione fiscale ed opporre poi qualsiasi collaborazione con l’Autorità giudiziaria per scoprire i criminali che vi hanno depositato questo danaro. La Costituzione italiana non insegna che gli ebrei debbano vivere confinati nei ghetti in quanto “razza dannata, deicidi, ruffiani ed usurai e peste dell’umanità”. La Costituzione italiana non insegna che è lecito sterminare gli ebrei, i rom e gli omosessuali e collaborare  fattivamente con i criminali per farli espatriare e sottrarre al giudizio dei Tribunali internazionali per i crimini di guerra.
            La storia del crocifisso, purtroppo, gronda di sangue, di genocidi, di torture, di assassini,  di razzismo, di intolleranza, di superstizione, di oscurantismo, di negazione dei più elementari diritti umani, di falsità e di abuso della credulità popolare. Esporlo nei tribunali significa condividere i crimini commessi in nome di quel simbolo, offendendo la dignità di chi crede realmente nei valori dell'eguaglianza, della libertà, della tolleranza, dei diritti umani e della laicità ed offendendo, altresì, la memoria dei milioni di poveri disgraziati che sono stati assassinati, torturati, discriminati, inquisiti, ghettizzati, prevaricati ed emarginati, in nome di quel simbolo, negli ultimi 1.700 anni.

5. QUINTO ED ULTIMO PUNTO.
Come quinto punto riporto qui di seguito -e sottopongo all’esame della Corte Suprema- l’ “Opinione ebraica sul crocifisso” espressa dal Rabbino Capo di Roma prof. dott. Riccardo di Segni, pubblicata dalla newletter Kolot  Lunedì 30 settembre 2002, ore 8:35, cioè ben prima dell’inizio della mia battaglia.
Lo scopo è quello di riportare l’opinione di una persona più autorevole di me che, in termini non tecnici ma estremamente logici, ha espresso il suo dissenso nei confronti dell’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici italiani per motivi che condivido in toto e che coincidono con quelli da me esposti: e cioè che in un Paese realmente “laico” gli spazi pubblici non possono essere riservati ad una sola religione, ancorché maggioritaria. La vera laicità dello Stato comporta l’inclusione di tutte le fedi e di tutte le culture, in regime di eguaglianza e reciproco rispetto, senza privilegi per alcuno.
Questo è quello che scriveva, nel 2002, il Prof. Riccardo Di Segni:
 “Un’opinione ebraica sul crocifisso
Gli antichi testi rabbinici raccontano una storia su Rabban Gamliel (Gamaliele), l'autorevole rabbino che difese nel Sinedrio i primi fedeli di Gesù e di cui l'apostolo Paolo si vantava di essere stato discepolo. Gamliel frequentava le terme di Afrodite di Acco, un luogo pieno di statue dedicate agli dei; ed era molto strano che lo facesse il rappresentante tanto importante di una religione che rifiutava l'idolatria. Gamliel si giustificava in questo modo: "non sono stato io ad andare nel territorio di Afrodite, ma è stata Afrodite a venire nel mio territorio". In altri termini, bisogna distinguere tra il territorio di Afrodite, cioè il tempio che le è dedicato e nel quale chi rifiuta l'idolatria non deve entrare, e la casa di tutti, come le terme pubbliche, dove qualcuno può anche averci introdotto immagini proibite, ma non per questo diventa proibita ai frequentatori. La posizione di Gamliel era quella del rappresentante di una religione allora senza potere politico, che non poteva permettersi, anche se l'avesse voluto, l'abolizione forzata delle immagini idolatriche. Cominciarono a farlo e ci riuscirono, tre secoli dopo questa storia, i rappresentanti del cristianesimo trionfante sugli "dei falsi e bugiardi". Da allora fu il cristianesimo a riempire gli spazi pubblici dei segni della sua fede. Non fu un processo senza ostacoli, perché anche nel cristianesimo l'uso delle immagini nella pratica religiosa fu sempre causa di discussioni e divisioni; non tanto per il cattolicesimo: e noi in Italia, dove la realtà cristiana è in gran parte cattolica, dobbiamo confrontarci con le scelte di questa parte del mondo cristiano così fedele alle sue immagini di culto.
Per Gamliel, che era lo spettatore passivo dell'irruzione nel luogo pubblico di immagini che lo disturbavano, ma contro le quali non poteva fare nulla, si trattava di decidere se era lecito frequentare il luogo pubblico. Per la società moderna, nella quale ogni cittadino partecipa democraticamente alla decisione collettiva, il problema va oltre: si tratta di decidere se sia lecita l'introduzione di un segno privato in un luogo pubblico. La questione che oggi si pone del crocifisso nelle scuole, forse con un'enfasi esagerata, è quella dei limiti da porre al desiderio di una fondamentale componente della società a porre e imporre il segno della sua fede nella casa di tutti, nella quale coabitano tutte le altre parti della società. Non bisogna dimenticare che ogni stato moderno, per quanto laico possa dichiararsi, ha stabilito dei patti con le religioni, maggioritarie e minoritarie, derogando più o meno dal principio dell'assoluta separazione tra stato e religioni. Ciò che è avvenuto in Italia è il prodotto di una storia lunga e travagliata, e ciò che non è stato ancora definito con precisione, e che sta ai limiti delle decisioni consolidate, come il caso del crocifisso, solleva di tanto in tanto delle polemiche, banco di prova e di scontro tra almeno due concezioni diverse.
In questo dibattito può avere qualche importanza conoscere gli stati d'animo e le domande di molti ebrei italiani. Si dice che il crocifisso sia un segno culturale, e che non bisogna rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni per un malinteso senso di rispetto delle minoranze. E' vero che il crocifisso è anche un segno culturale, ma non è per questo che lo si vuole nelle scuole; lo si vuole perché è prima di tutto un segno religioso, e il problema è essenzialmente religioso. I cattolici rivendicano con giusto orgoglio che questo è per loro un segno di amore e di speranza, e non si capisce allora perché non debba essere presente ovunque. Ma visto da altre parti, come quella ebraica, il senso di quel segno è differente. Per noi è prima di tutto l'immagine di un figlio del nostro popolo che viene messo a morte atrocemente; ma è anche il terribile ricordo di una religione che in nome di quel simbolo, brandito come un'arma, ha perseguitato, emarginato, umiliato il nostro ed altri popoli, cercando di imporgli quel simbolo come l'unica fede possibile e legittima. La storia passata della Chiesa ha trasformato quel simbolo, che dovrebbe essere di amore, in un segno di oppressione e intolleranza. L'ultimo Concilio ha cambiato nettamente la direzione, ma la richiesta ripetuta di occupare il luogo pubblico con quel segno ripropone alla nostra memoria il tema dell'intolleranza. La domanda che allora si pone a quella parte del mondo cattolico che si batte tanto per il crocefisso è se siano tornati, o non siano mai finiti, i tempi in cui la religione cattolica ha pensato di imporsi e diffondersi non con la testimonianza e la pratica esemplare delle sue virtù, ma con l'invasione, la forza, l'occupazione. Il problema che ci preoccupa è quale modello di religione sia dietro alle richieste dei difensori del crocifisso. Come membri minoritari di una società pluralistica continuiamo a ragionare con Gamliel, e a non rinunciare agli spazi pubblici, subendone, se inevitabile, l'occupazione con segni privati; come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i limiti e i diritti di ogni religione nella società laica; come fratelli, rivolgiamo ai fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identità, sul loro modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante.
            Dal momento che il presidente delle Comunità ebraiche, Amos Luzzatto, ha criticato in un'intervista a 'La Repubblica' la mia iniziativa di appendere nelle aule di giustizia la menorah, definendola “strampalata”', ci tengo a rappresentare al Rabbino Capo Prof. Riccardo Di Segni che anch’io sono del fermo parere che debbano essere rimossi tutti i simboli religiosi, piuttosto che aggiunti altri simboli. Tuttavia, faccio notare che per condurre le battaglie legali per l’affermazione di principi di civiltà è talvolta necessario agire  “contro” le ingiustizie con atti che solo apparentemente assumono le connotazioni della “ribellione” ma che, nella realtà, sono legittime richieste di rispetto del diritto di eguaglianza e non discriminazione.
            Anche la “nera” Rosa Parks di Montgomery, in Alabama, si rifiutò il 1° dicembre 1955 di cedere il posto da lei occupato, su di un autobus extraurbano, ad un uomo bianco. Questo atto di isolata “ribellione” contro un’ordinanza sulla segregazione della città le costò l’arresto ma, all’esito del procedimento giudiziario, la corte distrettuale degli Stati Uniti d’America emanò, il 4 giugno 1956, una sentenza storica che proclamò l’incostituzionalità della segregazione razziale sugli autobus di linea urbana e che portò poi l’America ad affermare la piena eguaglianza tra bianchi ed uomini di colore.
            Non accetto pertanto critiche per essermi opposto, in altrettanta “solitudine”, contro l’indebita collocazione del crocifisso nelle aule di giustizia e contro la palese discriminazione che scaturisce dal divieto di far entrare nelle aule altri simboli: tantomeno da parte di chi, per inerzia, ha tollerato e tollera ancora questi soprusi cattolici.
            I crimini contro l’umanità -come la shoah, le torture, il carcere e i roghi inflitti ad eretici, streghe e liberi pensatori- non sono da imputare soltanto alla malvagità di chi li ha perpetrati, ma anche alla codardia di chi, potendo agire e/o levare il proprio pubblico dissenso, li ha tollerati, ha taciuto e non vi si è mai opposto. L’inerzia è la virtù dei codardi.

            Scriveva Bertolt Brecht: “Prima vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi davano un po' fastidio. Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi niente perché non ero comunista.Un giorno poi vennero a prendere me, ma non era rimasto più nessuno per protestare.”
Rimini, li 17 maggio 2013

                                                                                  Luigi Tosti





[1] Tuttavia, anziché invitare il Ministro di Giustizia e rimuovere i crocefissi -oppure a sollevare un conflitto di attribuzione davanti la Consulta- la Corte ha reputato che “la tutela di detto diritto poteva agevolmente essere garantita mediante la celebrazione del processo in altra aula della Corte, priva dei predetti simboli”.
[2]          A supporto di tale pronuncia la CEDH ha richiamato l’art. 3 del D.P.R. n. 216/2003 che, recependo la direttiva n. 78/2000/CE (art. 4), ha disposto che “nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa.... non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento, basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali, che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.