Il prossimo 6 giugno si discuterà dinanzi la settima Sezione penale della Cassazione il ricorso che ho proposto contro la sentenza del luglio 2012 con la quale la Corte di Appello di L'Aquila mi ha assolto con la formula piena (il fatto non sussiste) dall'accusa di essermi rifiutato di tenere le udienze sotto l'imposizione del crocifisso. Il mio ricorso non è stato ovviamente indirizzato contro l' "assoluzione", bensì contro le motivazioni della sentenza che hanno ritenuto ingiustificato il mio rifiuto di tenere le udienze in un' "aula-ghetto" allestita appositamente per la mia persona senza crocifisso. Il relatore ha ritenuto che difetti il mio interesse a ricorrere e, pertanto, ha fissato la discussione in camera di consiglio, per l'udienza (non pubblica) del 6 giugno 2013. Ritenendo di far cosa utile a chi segue la mia vicenda (ed ha la pazienza di leggere), ho riportato qui di seguito i brani della memoria con la quale ho nuovamente richiesto di sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale, coinvolgendo peraltro in prima persona l'attuale Pontefice, al quale inoltrerò questa memoria per posta, in merito all'esposizione del solo crocifisso nelle aule giudiziarie e al divieto di esporre i simboli degli ebrei, degli atei e di tutte le altre confessioni. Una copia la inoltrerò anche al Rabbino Capo di Roma, prof. dott. Riccardo Di Segni, autore, nel 2002, di una sagace riflessione sull'esposizione/imposizione dei crocifissi negli uffici pubblici che riporto alla fine di questo mio scritto.
Buona lettura
22 maggio 2013
Luigi Tosti
ALLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Settima
Sezione Penale
Udienza in camera di Consiglio del 6.6.2013-Collegio
1-R.G. 45.875/2012
Memoria ex art. 611 C.P.P. dell’imputato
ricorrente
Tosti Luigi, nato a
Cingoli il 3.8.1948, res. a Rimini, Via Bastioni Orientali n. 38,
INOLTRATA, PER
CONOSCENZA E PER QUANTO DI COMPETENZA:
1. al Capo dello Stato Città del Vaticano Pontefice Jorge Mario Bergoglio;
2. al Rabbino Capo di Roma Dott. Prof. Riccardo Di Segni
Con avviso del 15.2.2013 è stato comunicato che il ricorso da me
proposto avverso la sentenza del 5.7.2012 della Corte d’Appello di L’Aquila -che
mi ha assolto dal reato di “omissione di atti d’ufficio” per essermi rifiutato
di tenere le udienze sotto l’imposizione del simbolo religioso del “crocifisso”-
sarà discusso alla camera di consiglio del 6.6.2013 perché “proposto da soggetto privo di interesse”.
In vista di tale udienza camerale presento questa memoria, che indirizzo anche
agli altri destinatari per quanto di loro competenza, rappresentando quanto
segue.
(1)
TERZO PUNTO: In terzo luogo ripropongo la questione
“preliminare” della preventiva rimozione dei crocifissi da tutte le aule di
giustizia italiane per garantire, durante la celebrazione del processo camerale
del 6.6.2013, il rispetto dei miei diritti primari all’osservanza del principio
supremo di laicità dello Stato e di imparzialità della Giustizia e,
altresì dei miei diritti inviolabili di
libertà e di eguaglianza religiosa. Nell’ipotesi in cui i crocifissi non risultino
rimossi in via generalizzata dal Ministro di Giustizia, invito la Cassazione a
sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia per
i motivi già ampiamente esposti nell’atto di appello e nel ricorso per
cassazione e che, comunque, qui di seguito reitero.
Rappresento che questa mia richiesta è condivisa e sarà fatta propria dal
mio difensore Avv. Carla Corsetti, Segretaria Nazionale del Partito Democrazia
Atea, a tutela dei suoi pari diritti inviolabili.
Preannuncio che, nell’ipotesi in cui la Cassazione respinga la mia
richiesta e la richiesta del mio difensore e decida dunque di proseguire il
giudizio rifiutandosi di sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi la
Consulta, la nomina dell’Avv. Carla
Corsetti si intenderà immediatamente revocata e costei dovrà pertanto astenersi da qualsiasi ulteriore
-quanto abusiva- attività difensiva a mio favore e dovrà, per contro, allontanarsi
dall’aula. Per essere estremamente chiaro ed esplicito, infatti, non intendo né
essere processato da Giudici partigiani -che cioè si identificano
platealmente nei “crocifissi” appesi sopra le loro teste- né di subire la
lesione dei miei diritti inviolabili di libertà religiosa e di eguaglianza
religiosa. Al pari del Rabbino Capo di Roma Prof. Riccardo Di Segni (di cui
riporterò nel prosieguo la sua illuminata ed equilibrata opinione, espressa nel
2002, cioè prima dell’inizio della mia battaglia legale) ritengo infatti che gli ebrei -così come peraltro
qualsiasi persona di qualsiasi razza o fede o cultura- siano eguali di fronte
alla legge e che le aule di giustizia -in quanto pubbliche ed appartenenti ad
uno Stato LAICO [e non ad uno Stato confessionale,
qual’è la Città del Vaticano]- debbano essere necessariamente neutrali e
rispettose dei diritti di libertà religiosa e di eguaglianza e non
discriminazione di coloro che, per motivi di giustizia, sono “obbligati” a
frequentarle.
MOTIVAZIONI DELL’ISTANZA PRELIMINARE
A) L’obbligo di garantire il
rispetto dei diritti inviolabili durante i processi.
(1)
La Cassazione penale, con sent. n. 3376 del
2001, ha sancito la piena legittimità del rifiuto di un imputato disabile di
presenziare all’udienza dibattimentale “per
l'esistenza di barriere architettoniche che gli impedivano di accedere all'aula
di udienza”, perché ha ritenuto che “spetta all'amministrazione pubblica
garantire alle persone disabili modalità di accesso ai locali rispettose
dell'uguaglianza e della pari dignità di tutti i cittadini.”
La Corte ha
dichiarato che “l'ordinanza che ne
dichiari la contumacia è nulla perché gli interventi di rimozione degli
ostacoli devono essere preventivi rispetto al manifestarsi dell'esigenza della
persona disabile e i problemi di questa non possono essere considerati come
problemi individuali, bensì vanno assunti dall'intera collettività.”
(2)
Il ricorrente ritiene che questi stessi
principi debbano essere applicati al suo caso: spetta infatti
all’amministrazione giudiziaria garantirgli -attraverso la rimozione dei
crocifissi (o, in subordine, autorizzandolo ad esporre la menorah o altri
simboli a fianco del crocifisso)- la partecipazione al processo nel pieno
rispetto dei suoi diritti inviolabili di libertà religiosa, di coscienza, di
eguaglianza e di equo processo da parte di giudici imparziali. Se ciò non
avverrà, sarò costretto a revocare la nomina del mio difensore perché non intendo
subire l’imposizione di difendermi dinanzi a giudici visibilmente partigiani e
in ambienti giudiziari che, come sancito dalla stessa Corte di Appello, sono
lesivi dei diritti di libertà e di eguaglianza religiosa.
(3)
Se la Corte riterrà giustificata questa
pretesa, dovrà valutare il rilievo del mio rifiuto (ma anche del rifiuto del mio
Legale ad espletare le sue mansioni difensive) ai fini della regolarità del
processo, sulla base degli stessi principi sanciti dalla Cassazione penale
nella sentenza sopra citata: la lesione dei diritti di difesa, infatti, non
potrà essere valutata come una mia “libera scelta” né come una libera scelta
del mio Legale, bensì come rifiuto necessitato dall’esigenza di salvaguardare
diritti inviolabili al rispetto del principio di laicità, di equo processo, e
di libertà e di eguaglianza religiosa
(4)
Dal momento che la Corte Suprema non può
disapplicare la circolare del Ministro fascista Rocco ex art. 4, all. E, della
L. 20.3.1865 n. 2248 (la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie
italiane postula infatti l'esecuzione di un atto amministrativo generale che
rientra nella competenza esclusiva del Ministro, come espressamente affermato
dalla Cassazione penale nell’ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005), non resterà
altra alternativa che sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti del
Ministro di Giustizia, ex art. 134, comma 2° Cost., e 37 L. 11.3.1953 n. 87,
sussistendone tutti i requisiti oggettivi e soggettivi.
(5)
Il
diniego di rimozione dei crocifissi da parte del Ministro di Giustizia
(sempreché ritenuto dalla Corte di Cassazione illegittimo ed ostativo alla
prosecuzione del dibattimento) impedirebbe infatti sine die la celebrazione del ricorso: il che concretizzerebbe, di
fatto, una “menomazione della pienezza
della funzione giurisdizionale attribuita alla Corte di Cassazione dalla
Costituzione”.
(6)
Questa
“menomazione” integrerebbe un'ipotesi del tutto analoga a quella dell' illegittimo
rifiuto delle Camere di fornire all'Autorità giudiziaria documenti necessari ai
fini probatori o a quella dell' illegittimo rifiuto
dell'autorizzazione a procedere contro parlamentari: tutti casi, questi, nei
quali la Corte Costituzionale ha ritenuto e ritiene ammissibili i conflitti di
attribuzione ex art. 37 L. n. 87/1953.
(7)
Questa
norma sancisce infatti che “Il conflitto tra poteri dello Stato è risolto
dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare
definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la
delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da
norme costituzionali”.
(8)
Nel
caso di specie ricorre, innanzitutto, il requisito soggettivo, in quanto la
Corte di Cassazione gode di assoluta indipendenza ed autonomia nell'ambito del
più vasto “potere giurisdizionale” cui appartiene (si richiama Corte Cost.,
ord. 22/1975: “i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni
in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da
considerare legittimati -attivamente e passivamente- prescindendo dalla
proponibilità di gravami predisposti a tutela di interessi diversi”).
(9)
Non
sussiste, poi, l'ipotesi che “altro organo, all'interno del potere
giurisdizionale, sia abilitato ad intervenire -d'ufficio o dietro
sollecitazione del potere controinteressato- rimuovendo o provocando la
rimozione dell'atto o del comportamento che si assumono lesivi” (Corte
Cost., ord. 228/75).
(10)
Dal
punto di vista oggettivo, poi, il conflitto di attribuzione concerne
sicuramente un atto amministrativo di natura regolamentare (circolare
Min. Giust. n. 2134/1867 del 29.5.1926 o, comunque, un comportamento di
“rifiuto” di rimozione dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane),
della cui “illegittimità” non è dato
dubitare.
(11)
Infine,
la violazione della sfera di attribuzione della Corte di Cassazione trova il
suo fondamento negli artt. 101 e 102 della Costituzione, perché il diniego di
rimozione generalizzata dei crocifissi dalle aule giudiziarie da parte del
Ministro di Giustizia, implicando la violazione del diritto costituzionale
dell'imputato (e del difensore) all'equo processo da parte di un giudice
imparziale (art. 111 Cost. e 6 Conv.), nonché del diritto costituzionale
all'eguaglianza (art. 3 Cost. e 14 Conv.) e del diritto costituzionale alla
libertà religiosa (art. 19 Cost. e 9 Conv.), determina un legittimo impedimento
dell’imputato a partecipare al processo e a difendersi (art. 420 C.P.P.), con
conseguente menomazione della pienezza della funzione giurisdizionale della
Corte di Cassazione a causa dello “stallo” sine die del processo.
(12)
Si
tratta di fattispecie del tutto assimilabile a quella ritenuta fondata dalla Corte
Costituzionale con l'ord. n. 228 del 1975:
“Il rifiuto opposto al Tribunale di Torino dalla Commissione d'inchiesta
in ordine alla richiesta di documenti, ritenuti necessari ai fini probatori,
concreta una illegittima menomazione delle pienezza della funzione
istituzionalmente spettante al potere giurisdizionale ex artt. 101 e 102,
esplicata dal Tribunale medesimo, per la limitazione che ne risulterebbe
all'accertamento dei fatti ed alle conseguenti valutazioni di sua competenza”.
(13)
D’altro canto, la Corte Suprema ha
giustamente sancito, nella citata ordinanza
n. 41.571 del 18.11.2005, che
non è possibile il ricorso alla legittima
suspicione da parte dell'imputato che si ritenga leso nei suoi diritti a
causa dell’imposizione dei crocifissi nelle aule giudiziarie: e questo perché,
“anche se può avere incidenza indiretta sulle posizioni soggettive di
terzi estranei a quella amministrazione”, la circolare fascista ha portata generale e si applica ai tutti gli
uffici giudiziari italiani, sicché, pur “essendo
state sollevate circostanze importanti”,
“non può invocarsi l'istituto
della rimessione del processo per scongiurare un pericolo di parzialità del
giudice o di turbamento del giudizio, quando la situazione che asseritamente
genera quel pericolo ha dimensione nazionale, essendo evidente che in tal caso
anche la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare quella
stessa situazione che si assume pregiudizievole per la imparzialità e serenità
del giudizio”.
(14)
Sulla
base di questi lineari principi, pertanto, l’unica via praticabile per
risolvere il rispetto dei diritti inviolabili dell’imputato e del difensore è
quella del conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di Giustizia ex
artt. 134 Cost. e 37 L. 11.3.1953 n. 87, affinché la Consulta dichiari che il
rifiuto di rimozione dei crocifissi è illegittimo, per violazione degli art. 2,
3, 7, 8, 19, 97, 101, 102, 104 e 111 e 113 della Costituzione e 6, 9, 13, 14 e
17 della Convenzione e determina, dunque, una illegittima menomazione della pienezza
delle funzioni giurisdizionali spettanti alla Corte di Cassazione ex artt.101 e
102 Costituzione.
(15)
Si
segnala che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 127/2006, ha dichiarato
inammissibile analogo conflitto di attribuzione, sollevato dal Tosti quando
esercitava le funzioni giurisdizionali nel Tribunale di Camerino, perché ha
ritenuto che “il giudice remittente, che
per sua stessa ammissione si era astenuto dalle funzioni giurisdizionali dal
9.5.2005, non era attualmente investito di un processo, in relazione al quale
soltanto i giudici si configurano come organi competenti a dichiarare la
volontà del potere cui appartengono”: questa situazione, però, non sussiste
nel caso di specie, perché i Giudici della Corte di Cassazione sono nel pieno
delle funzioni e sono investiti della trattazione di questo processo, cioè del
processo che reca il numero di R.G. 45.875/2012.
B) Irrilevanza della
rimozione o dell’assenza del crocifisso nell’aula di camera di consiglio e di
eventuale predisposizione di “aula-ghetto” per la celebrazione del presente
processo
Il ricorrente sconsiglia di
rimuovere il crocifisso dall’aula dell’udienza dibattimentale per eludere, surrettiziamente,
la questione del rispetto dei diritti umani o, addirittura, di creare un’
“aula-ghetto” senza crocifisso. Questo escamotage,
che ho definito e definisco ingiurioso della mia dignità e della dignità del
mio Legale, non avrebbe infatti alcun rilievo ai fini del rispetto del
principio supremo di laicità e del diritto inviolabile di libertà religiosa che,
come sancito dalla CEDH, va inteso anche in senso negativo; senza considerare,
poi, che il principio di laicità non può essere garantito con la rimozione o con
l’occasionale assenza di un crocifisso, come sancito dalla Cassazione penale
nella sentenza n. 4273/2000. Sconsiglierei anche di eludere la problematica con
“motivazioni” “irridenti” ed oltraggiose della mia dignità, come quella esposta
da Cass., SS.UU. civili, nella sent. n. 20.601/2008, laddove i giudici
delle ss. uu. hanno affermato che, “non
avendo questa Corte poteri istruttori, l'eventuale presenza di crocefissi in
altre aule, quale segno della non laicità del "palazzo", andava
documentata dalla parte che ha formulato l'eccezione”. Una siffatta
“motivazione”, provenendo da Consiglieri di Cassazione che lavorano
abitualmente nelle aule della Cassazione e che sanno perfettamente che i
crocifissi sono esposti (e debbono essere esposti) nelle aule della Cassazione,
denota soltanto intenti di inqualificabile arroganza e sfottò nei miei confronti.
C. LA NORMATIVA INTERNA.
(16)
La Costituzione italiana garantisce ad ogni
individuo la libertà di religione nell’art.19, disponendo che “tutti hanno diritto di professare
liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché
non si tratti di riti contrari al buon costume”.
(17)
La libertà di religione tutela anche i
convincimenti dell’ateo e dell’agnostico, secondo quanto ha affermato la Corte
costituzionale nelle sentenze n. 117 del 1979 e 334 del 1996.
In particolare, nella sentenza n. 334 del 1996, la Corte
costituzionale ha ricordato che “gli
articoli 2, 3 e 19 della Costituzione garantiscono come diritto la libertà di
coscienza in relazione all'esperienza religiosa. Tale diritto, sotto il profilo
giuridico–costituzionale, rappresenta un aspetto della dignità della persona
umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall'art. 2. Esso spetta
ugualmente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano essi atei o
agnostici”.
(18)
L’art. 3 della Costituzione italiana
garantisce l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione. La
disposizione, infatti, stabilisce che “Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali”.
(19)
La Costituzione, pur prendendo in esame
separatamente, nell’art. 7, la posizione della Chiesa cattolica stabilisce,
all’art. 8, primo comma, che “tutte le
confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, con una
disposizione che si riferisce anche alla confessione cattolica.
(20)
Per completare la descrizione del quadro
costituzionale, va aggiunto che la Corte costituzionale italiana ha
ripetutamente affermato che dal sistema delle norme costituzionali si ricava il
principio di laicità, il quale, come
è scritto nella sentenza n. 508 del 2000, è “un principio che assurge al rango di ‘principio supremo’ (sentenze nn.
203 del 1989, 259 del 1990, 195 del 1993 e 329 del 1997), caratterizzando in
senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere,
in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni
diverse (sentenza n. 440 del 1995)”.
Tale principio di laicità – ha poi specificato ancora la Corte
costituzionale – “implica equidistanza e
imparzialità verso tutte le confessioni” (sentenza n. 327 del 2002; così
anche sentenze nn. 508 del 2000, e 329 del 1997).
(21)
Sul
piano della normazione ordinaria, l’art. 2 del decreto legislativo n. 216/2003,
che ha recepito la direttiva 2000/78/CE del Consiglio dell’Unione Europea del
27 novembre 2000, sanziona poi qualsiasi forma di “discriminazione” da parte
del datore di lavoro pubblico o privato, e cioè sia la “discriminazione
diretta” (“quando, per
religione...... una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia
stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga”) che quella “indiretta”
(“quando una disposizione, un criterio,
una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono
mettere le persone che professano una determinata religione ...... in una
situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”).
(22)
L’esposizione del crocifisso nelle aule
giudiziarie non è prevista da alcuna legge né da alcun atto che abbia carattere
di fonte del diritto. Infatti, l’ostensione del crocifisso nelle aule di
giustizia avviene in forza della circolare del Ministro di grazia e giustizia
del 29 maggio 1926, n. 2134/1867, priva di fondamento normativo.
(23)
La circolare, a firma del Ministro, recita
quanto segue: “Prescrivo che nelle aule di udienza, sopra il banco dei
giudici e accanto all'effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocefisso,
secondo la nostra antica tradizione. Il simbolo venerato sia solenne
ammonimento di verità e giustizia”.
(24)
Nell’ordinamento italiano le circolari sono
istruzioni amministrative e non hanno natura di fonte del diritto. Quanto al
periodo storico in cui è stata emanata, si evidenzia che la circolare risale
all’epoca della dittatura fascista e si colloca in un contesto ordinamentale
caratterizzato, ai sensi dell’art. 1 dello Statuto albertino del 1848, dal
principio per cui la religione cattolica era la religione dello Stato.
(25)
Le successive circolari ministeriali, di
epoca repubblicana, che si sono occupate dell’arredo delle aule giudiziari non
menzionano il crocifisso.
Infatti, la direttiva del Ministro della giustizia Roberto Castelli
del 28 novembre 2002 ha disposto che “nelle Aule di udienza, compresa l'Aula
Magna (ove esistente), di tutti gli Uffici giudiziari, sia inserita la seguente
dicitura: ‘La giustizia è amministrata in
nome del popolo’”, dicitura che dovrà essere “apposta in modo visibile alle spalle del Giudice ed in stile uniforme
agli arredi”.
La successiva circolare del Ministro della giustizia Clemente Mastella
del 7 agosto 2006 ha disposto la rimozione della targa e la conservazione della
sola dicitura “La legge è eguale per tutti”.
(26)
L’ordinamento italiano considera il
crocifisso come un simbolo religioso.
La giurisprudenza qualifica pacificamente i crocifissi quali “oggetti
di devozione e di culto” (e non oggetti di arredamento, come un tavolo o
una sedia), e ravvisa pertanto il reato previsto e punito dall’art. 404 c.p. [Offese a una confessione religiosa mediante
vilipendio o danneggiamento di cose] nella condotta di chi vilipenda,
distrugga, deteriori o imbratti tale simbolo in un luogo pubblico o aperto al
pubblico, quale sarebbe per l’appunto un’aula di tribunale (in tal senso si
veda Cassazione penale, sez. I, sentenza 28 ottobre 1966, Fagiali; Cassazione
penale, sez. III, 21 dicembre 1967, Conti; Tribunale di Padova, 14 giugno 2005,
Smith).
(27)
Nel diritto italiano l’esposizione del
crocifisso sulla propria persona o in altro luogo di appartenenza è considerata
un atto di manifestazione di libertà religiosa, cioè di professione e di
propaganda di fede, come si ricava dall’art. 58, comma 2, del regolamento di
esecuzione dell’ordinamento penitenziario (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) che,
tra le “manifestazioni della libertà religiosa” consentite ai
detenuti, prevede appunto l’esposizione “nella propria camera
individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera a più
posti” di “immagini e simboli della propria confessione religiosa”.
(28)
Lo stesso Ministro di Giustizia, del resto,
ha sostenuto, nel corso giudizio promosso dal Tosti avanti al TAR delle Marche,
che l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie rappresenta un “atto
di manifestazione di fede”
da parte dello Stato italiano (“laico”!).
D. LA GIURISPRUDENZA INTERNA IN MATERIA DI CROCIFISSI NELLE AULE
GIUDIZIARIE.
(29)
Benché il TAR per le Marche, investito dal
ricorrente Luigi Tosti nel lontano 2004 della questione relativa alla
legittimità dell’esibizione dei crocifissi nelle aule di giustizia, si sia rifiutato
pilatescamente di occuparsene per asserito difetto di giurisdizione (nonostante
opposte sentenze delle SS.UU. civili e del Consiglio di Stato), il problema dei
crocifissi nei tribunali è stato incidentalmente affrontato dalla
giurisprudenza ordinaria e dalle ricordate decisioni del Consiglio superiore
della magistratura.
(30)
Già nella sentenza della Cassazione penale,
sez. IV, 1° marzo 2000, n. 4273, la Suprema Corte ha ritenuto che la circolare
del Ministro di grazia e giustizia del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 sia
incompatibile con il principio costituzionale di laicità quale profilo della
forma di Stato delineata nella Costituzione repubblicana ed ha considerato
giustificato il rifiuto di un pubblico ufficiale [nella specie: di un
Presidente di seggio elettorale] di svolgere l’ufficio fino a quando non
fossero stati rimossi i crocifissi dalle sezioni elettorali. Nella decisione
richiamata la Corte di cassazione ha sottolineato che “l'imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente
correlata alla neutralità (altro aspetto della laicità, evocato sempre in
materia religiosa da corte cost. 15.7.1997, n. 235) dei luoghi deputati alla
formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta
esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere
evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine
religiosa simboleggia”. La stessa sentenza ha affermato che l’esposizione
del crocifisso nell’ufficio, oltre a contrastare con il principio di laicità e
con il dovere di imparzialità del funzionario, può ledere anche la libertà di
coscienza del funzionario stesso.
(31)
Nell’ordinanza del Consiglio superiore della
magistratura del 31 gennaio 2006, con la quale è stata disposta la sospensione
cautelare dello scrivente Luigi Tosti, il collegio, dopo aver ricordato che la libertà di coscienza è espressamente
riconosciuta anche dall’art. 9 della CEDU e dall’art. 10 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, evidenzia, con richiamo testuale
della giurisprudenza costituzionale, che tale libertà, specie se correlata
all’espressione di convincimenti morali o filosofici (art. 21 Cost.) ovvero
alla propria fede o credenza religiosa (art. 19 Cost.), “dev’essere protetta
in misura proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essa
riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana”:
e conclude che è “convincente la tesi dell’incolpato secondo la quale l’esposizione
del crocifisso nella aule di giustizia, in funzione di solenne ‘ammonimento di
verità e giustizia’, costituisce un’utilizzazione di un simbolo religioso come
mezzo per il perseguimento di finalità dello Stato e, pertanto appare in
contrasto con il principio supremo di laicità dello Stato” e che “del
pari persuasiva” appare l’affermazione secondo cui “l’indicazione
di un fondamento religioso dei doveri di verità e giustizia ai quali i
cittadini sono tenuti, può provocare nei non credenti “turbamenti, casi di
coscienza, conflitti di lealtà tra doveri del cittadino e fedeltà alle proprie
convinzioni” (corte cost. n. 117 del 1979) e pertanto può ledere la libertà
di coscienza e di religione.”
(32)
Ancora, la sentenza del Consiglio superiore
della magistratura n. 88 del 2010, del 22 gennaio 2010, che ha inflitto allo
scrivente Luigi Tosti la sanzione massima della radiazione dalla magistratura,
ha riconosciuto che l’obbligo di esercitare la giurisdizione sotto la “tutela simbolica”,
in contrasto con le convinzioni di coscienza del magistrato, mette in
discussione il suo “fondamentale diritto soggettivo di libertà religiosa e
di opinione”.
(33)
Le Sezioni uniti civili della Corte di
cassazione, confermando la decisione del Consiglio superiore della
magistratura, hanno implicitamente ribadito che il diritto soggettivo di
libertà religiosa e di opinione del ricorrente è pregiudicato dall'obbligo di
esercitare la giurisdizione sotto la tutela simbolica del crocifisso.
(34)
Infine -ed è quel che più rileva in questa
sede- con ordinanza dibattimentale del 5.7.2012 la Corte d’Appello dell’Aquila
ha ritenuto fondate le pretese dell’imputato Luigi Tosti e dei suoi difensori
di celebrare il presente processo penale in un aule prive del crocifisso
cattolico, affermando che era “meritevole di tutela, alla luce dei principi
costituzionali, il diritto dei difensori e dell'imputato a presenziare e ad
esercitare le prerogative difensive in un'aula di giustizia priva di espliciti
simboli religiosi”. [1]
(35)
La giurisprudenza citata è dunque univoca
nell’affermare l’illegittimità dell’esposizione del crocifisso nelle aule
giudiziarie prescritta dalla circolare dell’epoca fascista, sia per contrasto
con principi costituzionali di laicità, di imparzialità e di legalità, sia per
contrasto con il diritto fondamentale della libertà di religione e di coscienza.
E) L’ostensione del
crocifisso: significati e valenze.
(36)
Si ribadisce che l’ordinamento italiano
considera il crocifisso come un simbolo
religioso e che la giurisprudenza
qualifica pacificamente i crocifissi quali “oggetti di devozione e di culto”
(e non oggetti di arredamento, come un tavolo o una sedia), e ravvisa pertanto
il reato previsto e punito dall’art. 404 c.p. [Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento
di cose] nella condotta di chi vilipenda, distrugga, deteriori o imbratti
tale simbolo in un luogo pubblico o aperto al pubblico, quale sarebbe per
l’appunto un’aula di tribunale (in tal senso si veda Cassazione penale, sez. I,
sentenza 28 ottobre 1966, Fagiali; Cassazione penale, sez. III, 21 dicembre
1967, Conti; Tribunale di Padova, 14 giugno 2005, Smith).
(37)
Si ribadisce che nel diritto italiano
l’esposizione del crocifisso sulla propria persona o in altro luogo di
appartenenza è considerata un atto di manifestazione di libertà religiosa,
cioè di professione e di propaganda di fede, come si ricava dall’art. 58, comma
2, del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (d.P.R. 30
giugno 2000, n. 230) che, tra le “manifestazioni della libertà religiosa”
consentite ai detenuti, prevede appunto l’esposizione “nella propria
camera individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera
a più posti” di “immagini e simboli della propria confessione religiosa”.
Lo stesso Ministro di Giustizia, del resto, ha sostenuto, nel ricorso al TAR promosso
dal Tosti per la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie, che questa “ostensione” rappresenta un “atto
di manifestazione di fede ex art. 19 Costituzione” da parte…. dello Stato “laico”
italiano!!!!
(38)
Giova
ricordare che i primi tribunali nei quali sono stati esposti i crocifissi sono
stati i criminali Tribunali della Santa Inquisizione e che ancor oggi la Chiesa
li espone nei Tribunali ecclesiastici. Il loro scopo è quello di ostentare la
fede in Dio e di connotare di sacralità cristiana l’esercizio della funzione
giurisdizionale. Il ricorrente non avanza ovviamente dubbi sulla liceità
dell’ostensione del crocifisso nei tribunali ecclesiastici, sia perché si
tratta di una scelta che rientra nell’ambito del legittimo esercizio del
diritto di libertà religiosa della Chiesa, sia perché, trattandosi di tribunali
“confessionali”, l’esposizione del “vessillo” della Chiesa e del Vaticano è del
tutto fisiologica ed assume la stessa valenza “identitaria” che assumono, nei
tribunali “laici”, le bandiere e gli altri simboli dell’Autorità statale. Il
ricorrente ritiene, anzi, che né lo Stato italiano né altri potrebbe imporre
alla Chiesa Cattolica l’obbligo di esporre nei tribunali ecclesiastici la
bandiera italiana o i simboli religiosi di altra confessione: si tratterebbe,
infatti, di un’indebita ingerenza che violerebbe sia il principio di “confessionalità” della Chiesa cattolica
che il suo diritto di libertà religiosa.
(39)
Alla
stessa stregua, però, il ricorrente ritiene che né al Vaticano né alla Chiesa Cattolica
né al Ministro di Giustizia competa il diritto di imporre ai cittadini italiani
e alla Repubblica italiana -che è e deve essere neutrale e aconfessionale- l’obbligo di esporre nei tribunali italiani il
“vessillo” della religione cattolica: si tratta, infatti, di un’ingerenza
altrettanto indebita, che viola non solo l’obbligo dello Stato italiano (e
quindi dei giudici) di amministrare la giustizia in modo visibilmente
imparziale e neutrale, ma anche il diritto di libertà religiosa delle persone
che, per motivi di lavoro o di giustizia, sono costrette a frequentare
gli uffici giudiziari.
(40)
L’esposizione del crocifisso nelle aule di
giustizia italiane significa, infatti: a) condivisione e propaganda della fede dei cattolici, in violazione così del diritto
(negativo) di libertà religiosa di tutti coloro che sono costretti –o per
motivi di lavoro o per esigenze di giustizia– a frequentare quelle aule; b)
evocare e trasmettere il messaggio simbolico secondo cui la funzione
giurisdizionale è esercitata sotto
la tutela di una confessione religiosa, in dispregio del principio
supremo di laicità che vieta a qualsiasi istituzione pubblica di professare una
fede religiosa ed impone, al contrario, l’obbligo della neutralità di chi (come
il magistrato) è chiamato ad esercitare la giurisdizione; c) evocare e
trasmettere il messaggio monoconfessionale
secondo cui nelle aule di giustizia
italiane è ammessa soltanto la simbologia religiosa cattolica, in
lesione del diritto alla non discriminazione religiosa di chi, non essendo
cattolico o credente, non ha la pari opportunità di veder esposti e di
propagandare i propri simboli in uno spazio pubblico.
(41)
Nel caso di specie, i valori evocativi del
messaggio religioso del crocifisso risultano non tollerabili né per il ricorrente
Luigi Tosti né per il suo difensore Avv. Carla Corsetti, che non accettano di
condividere un simbolo e una religione che non gli appartengono e che non
accettano di subire la celebrazione del presente processo da parte di giudici
che, al pari dei giudici dell’Inquisizione e dei tribunali ecclesiastici, “giudicano”
sotto la tutela simbolica di quel vessillo e di quel messaggio.
(42)
Il
ricorrente Luigi Tosti e il suo difensore Avv. Carla Corsetti sono persone che
nell’esercizio del loro insindacabile diritto individuale di libertà religiosa sono
avverse a qualsiasi forma di simbolismo religioso o di idolatria, tant’è che
non espongono sulle loro persone o negli spazi privati che hanno a disposizione
simboli, idoli o cosiddette immagini sacre.
(43)
Luigi
Tosti è un cittadino italiano che, dopo aver superato un concorso pubblico in
magistratura, ha accettato di lavorare alle dipendenze del Ministero di
Giustizia di una Repubblica “laica” e, quindi, in tribunali che non possono
imporre né ai dipendenti né ai cittadini giustiziabili l’obbligo di condividere
atti di manifestazioni di libertà religiosa né connotazioni
religiose partigiane dell’attività lavorativa espletata. In particolare, lo
statuto costituzionale della funzione giurisdizionale stabilisce che “la giustizia è amministrata in
nome del popolo e che “i
giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101 Cost.), legge davanti
alla quale tutti i cittadini “sono
eguali, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
(44)
Per
contro, Luigi Tosti e il suo difensore Avv. Carla Corsetti non hanno scelto
di essere processati o di “esercitare la professione forense” in un Tribunale
ecclesiastico, cioè al cospetto o all’interno di un Ente religioso per il
quale il crocifisso assume indubbiamente caratteristiche identitarie che sono
essenziali e determinanti per lo svolgimento della sua attività confessionale:
se lo avessero fatto, non avrebbero potuto accampare-e non accamperebbero oggi-
la pretesa di far rimuovere i crocifissi dalle aule giudiziarie italiane o di
esporre i propri simboli religiosi ma, al contrario, avrebbero dovuto subire la
limitazione dei loro diritti di libertà e di eguaglianza religiosa. In tal
senso si è pronunciata la CEDH nell’arresto del 20 ottobre 2009, relativo all’affaire Lombardi Vallauri c. Italia, requête no 39128/05, par.
41 e 44, laddove si è ritenuta legittima la restrizione del diritto di libertà
di espressione (art. 10) e del diritto di libertà di pensiero, di coscienza e
di religione (art. 9) di un professore universitario, perché “giustificata dalla scopo di tutelare un
“diritto altrui”, cioè l’interesse di un’Università cattolica a dispensare un
insegnamento conforme alle convinzioni religiose dell’Ente universitario”[2].
(45)
Ad
opposte conclusioni si deve però pervenire nel caso di specie. La restrizione
della libertà religiosa del Tosti e del suo difensore non si giustifica,
infatti, né per la qualità soggettiva del Ministero di Giustizia e della
Cassazione, né per la “natura” del processo penale che deve essere celebrato il
6 giugno prossimo dinanzi alla Corte Suprema: il Ministero della giustizia non
è un ente religioso e la Corte di Cassazione non è un Tribunale ecclesiastico
ma, al contrario, sono entrambi organi (amministrativi e giurisdizionali) di
uno Stato laico che, dunque, sono tenuti all’assoluta neutralità religiosa e al
rispetto dei diritti di coscienza, di libertà religiosa e di eguaglianza di tutti
coloro che sono costretti a frequentarli per “motivi di giustizia”. Per
altro verso poi, l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie non è
giustificata dalla natura “religiosa” dell’attività giurisdizionale che viene
espletata dai tribunali italiani ma, anzi, vi si pone in insanabile conflitto,
perché calpesta il principio di neutralità e di imparzialità dei giudici, sancito dalla Costituzione italiana (art. 111)
e dalla Convenzione (art. 6).
(46)
Riepilogando,
il ricorrente e il suo difensore sostengono che il Ministro di Giustizia –non
essendo un Ente religioso– non può limitare la loro libertà religiosa, di
pensiero e di coscienza, imponendo loro di condividere nelle aule giudiziarie
l’esposizione del crocifisso come “simbolo
venerato” e conferendo ai giudici che celebrano il processo connotazioni confessionali
smaccatamente cattoliche: connotazioni che la loro coscienza e libertà non
tollerano, sia perché contrarie ai loro convincimenti religiosi, sia perché
contrarie ai precetti costituzionali e convenzionali che impongono allo Stato
italiano e ai giudici di essere neutrali e imparziali nell’esercizio
dell’attività giurisdizionale.
(47)
E’ bene
puntualizzare che Luigi Tosti e l’Avv. Carla Corsetti non si sono mai doluti
del fatto che le persone che frequentano gli uffici giudiziari possano esporre
sulla propria persona i crocifissi (o altri simboli): si tratta infatti di
manifestazioni di libertà religiosa dei singoli cittadini che sono garantite –
anche in luoghi pubblici– dall’art. 9
della Convenzione e dall’art. 19 della Costituzione e che, pertanto, non ledono
i diritti di libertà religiosa altrui, perché sono “neutralizzate” dall’identica facoltà che è concessa –in positivo o
in negativo– a tutti coloro che
praticano fedi diverse o che non ne praticano alcuna. Gli esponenti ritengono,
anzi, che di fronte all’ostensione dei simboli religiosi altrui – ancorché non
condivisi– si imponga, di regola, la
“tolleranza”: la quale però implica, in un regime democratico che si fonda
necessariamente sull’eguaglianza e pari dignità di qualsiasi ideologia religiosa
o filosofica, che la “tolleranza” sia reciproca -e non a senso unico- e che
dunque vi debba essere un reciproco rispetto delle opinioni, anche se
non condivise.
(48)
Il
ricorrente e il suo legale contestano che il Ministro di Giustizia di uno Stato
laico possa imporre l’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie, e cioè
in luoghi che debbono essere indefettibilmente neutrali. In questo modo,
infatti, l’ostensione del crocifisso nelle aule di giustizia non è più un
legittimo atto di “manifestazione di libertà
religiosa” “in un luogo pubblico”,
ma un’imposizione e un’ingerenza indebite nella sfera di libertà religiosa di
chi –come il Tosti e l’Avv. Corsetti– sono contrari a qualsiasi forma di idolatria e
non si identificano in quel simbolo e, anzi, se ne dissociano per gli efferati
crimini contro l’umanità che sono stati commessi in suo nome- ma che, tuttavia,
sono costretti a condividerli negli ambienti giudiziari che debbono
necessariamente frequentare per poter esercitare le proprie prerogative
difensive, senza avere nemmeno l’opportunità di neutralizzarli con l’esposizione dei propri od altri simboli.
(49)
L’imposizione
del crocifisso nelle aule giudiziarie non può essere considerata un atto
“neutro” ai fini del rispetto della libertà religiosa, così come non lo sarebbe
l’obbligo di partecipare alle udienze col crocifisso al collo o cucito sulla
toga del giudice e/o dell’avvocato e/o dell’imputato. E se un crocifisso o
altra simbologia religiosa appesi al collo o cuciti sulla toga connotano di
partigianeria religiosa l’esercizio della giurisdizione e ledono la libertà
religiosa dei soggetti che sono obbligati ad indossarli, un crocifisso appeso
sulla parete non può non avere la stessa identica valenza religiosa, gli stessi
identici significati e gli stessi effetti pregiudizievoli sulla libertà dei
soggetti obbligati a subirli e sul rispetto del principio dell’ equo processo
da parte di giudici imparziali.
(50)
La
circostanza che in Italia molti si siano “assuefatti” alla visione dei
crocifissi –perché sono rimasti appesi alle pareti fin dall’epoca del fascismo–
non deve indurre all’erroneo convincimento che la loro imposizione sia
ininfluente con l’argomento che il
crocifisso è un simbolo “passivo” che non obbliga nessuno a credere: il
diritto negativo di libertà religiosa, infatti, non implica soltanto quello di non essere obbligati a credere in una
religione, ma anche quello di non
essere costretti a subire o condividere atti di manifestazioni di libertà
religiosa altrui, senza peraltro avere possibilità di neutralizzarli
-come avviene nel caso di specie- con l’esercizio di contrapposte
manifestazioni: il Ministro di Giustizia e il Presidente del Tribunale di
Camerino hanno infatti proibito (ed anzi rimosso) l’esposizione della menorah
ebraica e del logo dell’UAAR, e il CSM e
le SS.UU. civili della Cassazione hanno da parte loro sancito che “per esporre i simboli degli ebrei (e di
altre confessioni religiose) occorrerebbe una “legge” del Parlamento”:
argomento, questo, specioso e oltraggioso, perché la Costituzione Italiana e la
Conv. sui diritti dell’Uomo garantiscono agli ebrei (e non solo agli ebrei) gli
stessi diritti e la stessa dignità che lo Stato italiano accorda ai “cattolici”:
non esistono né “razze” superiori né “fedi” superiori.
(51)
L’imposizione
del crocifisso non può essere considerato un atto anodino perché, altrimenti,
dovrebbe ritenersi altrettanto anodina l’imposizione a tutti i cittadini
italiani dell’obbligo di esporre i crocifissi nelle abitazioni: il che non può
essere giustificato, perché l’ostensione di un simbolo religioso è un atto di
manifestazione di libertà religiosa che, come tale, non può essere imposto a
nessuno.
(52)
Concludendo,
il ricorrente e il suo difensore ritengono che la restrizione del diritto
negativo di libertà religiosa e di coscienza (art. 9 CEDU), provocata
dall’imposizione del crocifisso, può essere giustificata solo per chi ha
scelto, volontariamente, di adire la giurisdizione di un tribunale
ecclesiastico o di esercitarvi le funzioni di avvocato: ma non per chi è
costretto a frequentare come imputato o come avvocato un tribunale laico che,
sia in base all’art. 6 della Convenzione che in base all’art. 111 della
Costituzione italiana, deve essere connotato da assoluta imparzialità e neutralità,
e non da partigianeria religiosa.
(53)
Sul piano della convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo va considerato che nell’organizzare il
servizio della giustizia le Parti Contraenti debbono rispettare l’art. 6, § 1,
che garantisce il diritto ad una giustizia che, oltre ad essere imparziale, appaia
tale.
In Klein c. Pays– Bas, del 6
maggio 2004, ai §§ 190 ss., la Grande
Chambre ha sottolineato che anche l’apparenza di imparzialità è
una qualità importante per i tribunali, perché i dubbi al riguardo debbono
essere esclusi ed i soggetti devono poter aver fiducia nel giudice:
“Quant à la condition d’«impartialité», au sens de l’article 6 § 1 de la
Convention, elle revêt deux aspects. Il faut d’abord que le tribunal ne
manifeste subjectivement aucun parti pris ni préjugé personnel. Ensuite, le
tribunal doit être objectivement impartial, c’est– à– dire offrir des garanties
suffisantes pour exclure tout doute légitime à cet égard. Dans le cadre de la
démarche objective, il s’agit de se demander si, indépendamment de la conduite
personnelle des juges, certains faits vérifiables autorisent à suspecter
l’impartialité de ces derniers. En la matière, même les apparences peuvent
revêtir de l’importance. Il y va de la confiance que les tribunaux d’une
société démocratique se doivent d’inspirer aux justiciables, à commencer par
les parties à la procédure”.
(54)
L’importanza dell’apparenza, in questo
settore, è stata ribadita dalla giurisprudenza successiva della CEDH: così, ad
esempio, Sacilor Lormines c. France,
del 9 novembre 2006, § 60 e Micallef c. malte, del 15 ottobre 2009, § 98, la
quale, richiamando diversi precedenti ci ricorda che “«justice must not only
be done, it must also be seen to be done»
(il faut non seulement que justice soit faite, mais aussi qu'elle le soit au vu
et au su de tous)”.
(55)
Ora, una giustizia amministrata in locali
arredati col crocifisso per definizione appare non imparziale sotto
il profilo della equidistanza rispetto ai convincimenti religiosi. D’altro
canto, se l’esposizione del crocifisso appare del tutto lecita e giustificata nei
tribunali ecclesiastici, perché è deputata a connotare di “confessionalità” e
di “sacralità” l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quei
giudici, essa appare del tutto illecita e ingiustificata nei tribunali della
Repubblica italiana che, per dettato costituzionale, debbono essere laici e
neutrali.
(56)
Per convincersene, basta pensare a quale
sarebbe l’immagine della funzione giurisdizionale se essa fosse amministrata in
aule invariabilmente arredate soltanto con il simbolo di un determinato partito
politico.
(57)
In ogni caso si ribadisce la richiesta,
subordinata, di esposizione delle menorà e dei simboli atei a fianco dei crocifissi: se si ritiene infatti
lecito che i cattolici possano manifestare la loro libertà religiosa, “marcando”
le aule di giustizia con il crocifisso e connotando, pertanto, di
confessionalismo cattolico l’esercizio della giurisdizione, identico diritto
deve essere necessariamente accordato agli ebrei, agli atei, ma anche agli
islamici e a chiunque abbia fede, credo o cultura diversa. Salvo che,
ovviamente, il Ministro di Giustizia e i Giudici della Cassazione non ritengano
che i “cattolici” appartengano ad una “razza superiore”.
G) La sentenza Lautsi c.
Italie della Grande Chambre del 18 marzo 2011
(58)
Si sottolinea l’assoluta irrilevanza della
pronuncia (Lautsi c. Italia) del 18
marzo 2011, con la quale la Grande
Chambre della CEDH ha ritenuto che l’esposizione del crocifisso in un’aula
scolastica non fosse lesiva del diritto dei genitori di educare i figli secondo
i propri convincimenti (art. 2 del Primo protocollo addizionale) e della
libertà religiosa dei genitori e degli alunni (art. 9). Con questa sentenza,
infatti, la CEDH ha affermato che il “crocifisso” è un “simbolo passivo” che “non
indottrina”, cioè non induce a credere: tuttavia l’imputato Tosti e il suo
legale avv. Corsetti non hanno mai sostenuto la tesi bislacca che il crocifisso
appeso nelle aule di giustizia interferisca con i loro neuroni cerebrali,
inducendoli a “credere” o a convertirsi
al cattolicesimo. Hanno al contrario affermato che si tratta di un’imposizione
che lede il principio supremo di laicità e i loro diritti negativi di libertà e
di eguaglianza religiosa, essendo loro inibito
di apporre i propri simboli a fianco del crocifisso. D’altro canto, se si
ritiene che “sia giusto” che coloro che
non sono cattolici debbano subire l’imposizione dei crocifissi perché si tratterebbe
di “simboli passivi”, anche i cattolici debbono subire l’imposizione dei
simboli ebraici, atei, islamici etc. etc. per lo stesso motivo, cioè perché si
tratta di simboli altrettanto passivi. La tolleranza, si ribadisce, implica il rispetto
reciproco, e non il rispetto a…. senso unico!
(59)
Va comunque rimarcato che la giurisprudenza
interna sopra menzionata (CSM, SS.UU. Civili e Cassazione penale), con la quale
si è affermato che il crocifisso nelle aule di giustizia viola il principio di
laicità e i diritti inviolabili di libertà e di eguaglianza religiosa, giammai
può essere neutralizzata o disattesa con il richiamo di sentenze della CEDH che
siano meno favorevoli di quelle pronunciate dai giudici interni: infatti, utilizzare
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per ridurre il
livello di garanzie offerte dall’ordinamento interno è vietato dall’art. 53
della CEDU e contrasta con l’insegnamento della Corte costituzionale, secondo
cui la giurisprudenza di Strasburgo non può mai tradursi in una diminuzione del
livello di tutela rispetto a quello previsto nell’ordinamento interno, dovendo
il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei
diritti fondamentali essere effettuato “mirando
alla massima espansione delle garanzie” (cfr. Corte cost., sent. 264 del
2012).
4. QUARTO PUNTO.
Come quarto punto prospetto all’attuale Capo dello Stato della Città
del Vaticano, Papa Jorge Mario
Bergoglio, che il suo predecessore Josef Ratzinger e le Gerarchie della
Chiesa Cattolica hanno sempre preteso e caldeggiato l’ostensione dei crocifissi
nelle aule di giustizia e negli uffici pubblici della Repubblica italiana,
sostenendo che questo simbolo religioso incarna “i valori storico culturali che sono alla base della Costituzione
italiana” e che impregnano le “radici
giudaico-cristiane dell’Europa”.
Dal momento che l’Italia non è una Colonia del Vaticano e dal momento
che la Costituzione Repubblicana italiana è fondata sul principio supremo di
laicità -che implica neutralità, equidistanza ed imparzialità dello Stato nei
confronti di qualsiasi religione e dell’ateismo e, altresì, sul diritto
di libertà e di eguaglianza religiosa di qualsiasi essere umano e di
qualsiasi confessione religiosa, invito pubblicamente il Pontefice Jorge Mario Bergoglio a rivedere la posizione
del Vaticano e della Chiesa in merito all’esposizione, in regime di monopolio,
del crocifisso cattolico nelle aule di giustizia italiane e, pertanto, Lo “invito”,
stante l’inerzia della Magistratura italiana, ad intervenire presso l’attuale
Ministro di Giustizia affinché rimuova quel simbolo in ossequio alla
Costituzione ed ai diritti di libertà e di eguaglianza religiosa o, in
subordine, che esponga a fianco del crocifisso la menorah ebraica.
Nel caso che Ella non aderisca
a questo invito, Le chiedo di spiegare -PUBBLICAMENTE
e magari in occasione del prossimo Angelus- quali siano i “motivi” che renderebbero
legittima l’ostensione del “crocifisso” nelle aule di giustizia italiane ed
“illegittima”, per contro, l’esposizione della menorah ebraica.
In caso di Suo persistente “silenzio”
-e di silenzio delle Gerarchie ecclesiastiche della Chiesa- sarò autorizzato a
ritenere che Ella e la Chiesa Cattolica -al pari di altri Pontefici e di quelli
che Lei e la Sua Chiesa venerate come “Santi” e come “Dottori della Chiesa” (mi
limito a citare Efrem, San Giovanni Crisostomo, San Paolo, Sant’Ambrogio, San
Cirillo, San Giustino, San Tertulliano,
San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino, San Cipriano, San Gregorio di Nissa, Sofronio Eusebio
Girolamo, il “beato” Bernardino da Feltre,
Papa Innocenzo III, Papa Leone I, Papa Paolo IV, Papa San Pio V, Papa
Clemente IV, Papa Clemente VIII, Papa Giovanni XXII, Papa Benedetto XIV, Papa
Gregorio XVI, “Beato” Papa Pio IX) siate contrari all’esposizione della menorà
perché considerate tuttora gli ebrei come “una
razza dannata; deicidi; peste dell’umanità; un branco di ruffiani ed usurai; mentecatti, nature servili, servitori del
demonio, spirito immondo, preda del diavolo anche all'interno del suo tempio
sacro, la sinagoga, che è divenuta
caverna di briganti e rifugio per le bestie selvatiche; non migliori dei
maiali e dei montoni; schiavi tollerati dalla Chiesa, che ben meritano la punizione divina che è stata
loro riservata; razza persecutrice, vessatrice, tirannica, ladra e devastatrice;
insolenti, caparbi, sporchi, ladri, bugiardi, seccatori, che vivono
per il ventre; dispersi fra tutte le
nazioni a testimonianza della loro malvagità e della verità della fede
cattolica; avvocati del diavolo, demoni, serpenti la cui immagine è Giuda e la cui preghiera è
un raglio d'asino; banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali...
Per il loro deicidio non c'è possibilità di perdono, dispersi in schiavitù per
sempre... Dio odia gli ebrei e li ha sempre odiati”.
Le ricordo, Egregio
Pontefice, che i cristiani -e in particolare la sua “Chiesa Cattolica”- sono
stati gli artefici primari -negli ultimi 1700 anni- dell’antisemitismo e della persecuzione razziale degli ebrei, poi
sfociata nella shoah e nelle immonde leggi razziali naziste e fasciste: le
quali -è doveroso evidenziarlo- non sono da imputare ad islamici, a buddisti né,
tanto meno, agli atei o agli agnostici, bensì ai “cristiani”, la massima parte
dei quali di fede “cattolica”.
Le ricordo che il XVII Concilio di Toledo, celebratosi nel 694,
ridusse tutti gli Ebrei alla condizione di “schiavi”. Le ricordo che nell’anno
306 d. C. venne proibito il matrimonio e i rapporti sessuali tra cristiani ed
Ebrei, nonché la consumazione comunitaria dei pasti. Le ricordo che il Sinodo
di Clermond, 535 d. C., poibì agli Ebrei di ricoprire cariche pubbliche e di dar lavoro a collaboratori cattolici. Le
ricordo che il XII Sinodo di Toledo, nel 681, decretò “la distruzione col fuoco
di ogni libro ebraico”, mentre il Concilio di Costantinopoli del 692 fece
divieto ai cristiani di farsi visitare da medici Ebrei.
Le ricordo che per lunghissimo tempo nessun ebreo ha mai potuto citare
un cattolico in un giudizio, né deporre come testimone a suo carico.
Le ricordo che i primi cristiani hanno perseguitato non solo i pagani
-vietando loro la libertà di culto, massacrandoli ed abbattendo i templi degli
“Dei falsi e bugiardi”- ma anche distruggendo le sinagoghe degli ebrei.
Le ricordo che il razzista “Sant’Ambrogio” -cioè l’attuale “Santo
protettore” di Milano- ha giustificato ed appoggiato l’incendio delle sinagoghe,
vantandosi con Teodosio “di aver dato
alle fiamme la sinagoga” perché si
trattava di “un "atto glorioso",
affinché "non possa esserci luogo in cui Dio è negato”.
Le ricordo che il Concilio Lateranense
IV (1215) dispose, per distinguere i cattolici dagli
ebrei, che questi ultimi cucissero, sotto comminatoria di sanzioni severe, un distintivo
giallo sugli abiti indossati, perché questo colore rappresentava nel Medioevo
la cattiveria e l'invidia, caratteristiche attribuite agli ebrei; vietò loro di
comparire in pubblico durante il Triduo pasquale; li escluse da qualunque
ufficio pubblico che comportasse un'autorità sui cristiani, imponendo l’obbligo
di restituire ai cristiani quanto da essi ricevuto per tali uffici (“poiché…riescono assai molesti ai cristiani”);
proibì agli ebrei convertiti al cristianesimo di ritornare ai propri culti e all’ebraismo;
vietò ai cristiani di avere rapporti commerciali con gli ebrei e impose agli
ebrei di pagare le decime alla Chiesa.
Le ricordo che la “ghettizzazione” degli ebrei non è un’ “invenzione”
dei criminali nazisti tedeschi e dei criminali fascisti italiani, ma che essa
fu imposta -per la prima volta nella storia dell’umanità- dal criminale Pontefice
Paolo IV con l’infame bolla Cum nimis
absurdum del 14.7.1555. Le ricordo che questa “ghettizzazione” fu inasprita,
con l’infame bolla Hebraeorum gens
sola quondam a Deo dilecta del 26.2.1569, dal criminale Papa Inquisitore
Pio V, che tutt’ora viene venerato come “Santo” dalla Sua Chiesa. Le ricordo
che la ghettizzazione ed altre infami imposizioni e divieti vennero imposti
agli ebrei anche con la bolla Caeca
et obdurata del 25.2.1593 del criminale Papa Clemente VIII.
Le ricordo che gli effetti di queste infami bolle furono
devastanti per i sudditi dello Stato Pontificio di religione ebraica. Gli ebrei
residenti nei centri più prossimi a Roma e ad Ancona riuscirono a rifugiarsi
nelle due città, ma la maggior parte di essi fu costretta ad emigrare in altri
stati d'Italia e d'Europa. Dopo la bolla di Clemente VIII, l'esodo degli ebrei,
non residenti a Roma o ad Ancona, fu totale. Intere comunità vennero condannate
all'estinzione, come quelle di Ravenna, Orvieto,Viterbo, Camerino, Perugia, Spoleto e Terracina.
Le ricordo che dal 1492 tutti gli
ebrei spagnoli (e più tardi i musulmani) furono costretti a convertirsi al
cristianesimo o ad espatriare: 50.000 ebrei si “convertirono” (coattivamente) al
cristianesimo ma, per il sospetto che le conversioni non fossero sincere,
vennero dispregiativamente bollati come “marranos”;
200.000 ebrei lasciarono tutto e furono
costretti ad espatriare. Molti, per ironia della sorte, trovarono rifugio a
Roma, dove dovettero poi subire le altrettanto infami bolle papali di Paolo IV,
di Pio V e di Clemente VIII.
Le ricordo che grazie a queste “bolle papali”
gli ebrei furono costretti a portare un segno distintivo sull'abito (obbligo
ripreso secoli dopo dal nazismo); che essi dovevano abitare nel ghetto, luogo
chiuso e recintato, con un portiere cristiano pagato dagli ebrei; che dovevano
farvi rientro dopo il tramonto; che dovevano chiedere un permesso per muoversi
all'interno dello stato; che non potevano possedere immobili in proprietà, ma
solo in affitto; che non potevano iscriversi alle università e dunque laurearsi.
Che non potevano esercitare nessuna professione “liberale” (medicina,
giurisprudenza…) se non il piccolo commercio (rivendita di stracci vecchi); che
ogni settimana un terzo della popolazione ebraica, a turno, doveva ascoltare
una predica cristiana fatta in una chiesa fuori del ghetto.
Le ricordo che sul conto degli ebrei furono diffuse dai cristiani le
più assurde ed infami credenze ed accuse, quali quelle che il giudaismo
prescriveva sacrifici rituali di cristiani e che gli ebrei impastassero la matzah,
il pane azimo pasquale, col sangue dei cristiani. Le ricordo che queste
credenze furono la causa di stragi e di linciaggi di ebrei, che vennero
perpetrati sino alla fine del diciannovesimo secolo, anche grazie alle infamie
ed alle criminali istigazioni razziali diffuse da Civiltà Cattolica, il giornale politico voluto e fondato da Pio IX
nel 1850.
Le ricordo che grazie alle “Crociate”, scatenate dalla Chiesa al grido
di “Dio lo vuole!” per “liberare la Terra Santa”, furono sterminati non solo
milioni di islamici, ma anche centinaia di migliaia di ebrei: il 15.7.1099
circa 60.000 tra ebrei e islamici furono massacrati dai crociati a Gerusalemme.
Non mi consta che la Chiesa li celebri come “martiri”, a differenza
degli 800 martiri di Otranto, che sono stati da Lei “beatificati” di recente
per essere stati decapitati dagli islamici il 14.8.1480.
Le ricordo che “San Francesco”,
“patrono“ d’Italia, partecipò alla V Crociata è giustificò le crociate come
legittime forme di pellegrinaggio armato con queste parole riportate da Frate
Illuminato: “i cristiani agiscono
secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e
vi adoperate ad allontanare dalla religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare
e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi!"
Le ricordo che nella Roma papale del 1814 i rabbini romani dovevano
ancora comparire, durante il carnevale, vestiti di nero, con calzoni corti, con
mantellina e con una sorta di cravatta, per essere dileggiati e scherniti dalla
folla dei "civilissimi" e "tolleranti" Cattolici.
Le ricordo che gli ebrei erano costretti da Santa Romana Chiesa, ogni
sabato pomeriggio, a recarsi ad una vicina chiesa cattolica per presenziare a "prediche
coatte" miranti alla loro conversione, durante le quali venivano infamati
per la loro abietta religione e per il "crimine" perpetrato dal popolo
ebreo ai danni di Cristo.
Le ricordo che secondo l'editto sopra gli ebrei del 6.6.1733
dell'inquisitore domenicano di Bologna De Andujar gli ebrei dovevano rimanere
nel ghetto, di notte, che non potevano leggere il Talmud né alcun testo
proibito, che dovevano "gli ebrei dell'uno, e dell'altro sesso, portare
il segno di color giallo, per cui vengano distinti dagli altri, e
debbano sempre portarlo in ogni tempo, tanto dentro il Ghetto, quanto fuori.
Gli uomini debbano portarlo sopra il cappello ben cucito sopra, e sotto la
falda, senz'alcun velo o fascia.....e le donne lo debbano portare in capo
scopertamente senza mettervi sopra il fazzoletto, o altra cosa, con cui venga
nascosto."
Le ricordo che agli ebrei era fatto divieto di assumere personale
cattolico alle proprie dipendenze, per evitare il rischio di contaminazione
della religione cattolica.
Le ricordo che Santa Romana Chiesa Cattolica ha perpetrato
abitualmente il crimine del rapimento dei bambini ebrei che fossero stati
“battezzati”, anche contro la volontà dei genitori. Questi bambini venivano
sottratti ai genitori ebrei per essere indottrinati coattivamente al culto
della religione cattolica.
Le ricordo che uno di questi criminali rapimenti fu perpetrato, su
ordine del “Beato” Papa Pio IX, dall'Inquisitore di Bologna, padre Feletti, ai
danni di Edgardo Mortara, la notte del 23.6.1858. Le ricordo che per il criminale rapimento di Edgardo Mortara
padre Feletti venne giudicato dal Tribunale Penale di Bologna "non
colpevole perché l'ablazione fu fatto di Principe", cioè perché
il rapimento fu opera diretta del "mandante" Papa Pio IX. Le ricordo
che il Beato Pio IX rimase fermo sostenitore che gli ebrei dovessero vivere
come “ospiti”, beneficiando della "carità cristiana" sino a che non
avessero abbracciato la Vera Fede Cattolica, e che stigmatizzò l'orientamento
degli altri Stati italiani che concessero eguali diritti agli ebrei,
infuriandosi quando apprese che il granducato di Toscana, dopo la restaurazione
del regime, aveva conservato agli ebrei eguali diritti, ivi incluso quello di
frequentare l'università (Prigioniero del
Papa Re -Storia di Edgardo Mortara, ebreo, rapito all'età di sei anni da Santa
Romana Chiesa nella Bologna del 1858, David
I. Kertzer, Rizzoli Edit.).
Le ricordo che Pio XII, non pago dei concordati stipulati con le
criminali dittature di Hithler e Mussolini, nonché dell'olocausto perpetrato
dai cristiani ai danni di milioni di ebrei e rom, approvò il 20.10.1946 la
delibera del Sant'Uffizio sui bambini ebrei accolti da istituzioni e famiglie
cattoliche in Francia durante l'occupazione nazista, con la quale “raccomandò
di non rispondere per iscritto alle comunità israelitiche che chiedono la
restituzione dei minori e suggerì di prendere tempo per esaminare ogni
richiesta caso per caso, specificando innanzitutto che "i bambini ebrei
battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano
assicurare l'educazione cristiana» e, quanto ai non battezzati, sconsigliò di
sottrarre gli orfani alla custodia della Chiesa per affidarli a «persone che
non hanno alcun diritto su di loro», ammettendo solo la restituzione dei
bambini reclamati dai loro genitori, purché
i piccoli «non abbiano ricevuto il battesimo».
Le ricordo che Benito Mussolini, cioè l'Uomo inviato dalla Divina
Provvidenza, farà tesoro di questa criminale "prassi" cattolica,
sancendo in una delle leggi razziali che "Il genitore di razza
ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che
appartengano a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che
egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi
religiosi o ai fini nazionali".
Le ricordo che la discriminazione, la ghettizzazione, la deportazione
e lo sterminio dei 6.000.000 di ebrei, rom, omosessuali non è da imputare agli
atei, agli agnostici, ai “relativisti”, ai buddisti, ai raeliani, agli
islamici, bensì ai cristiani nazisti e fascisti, la massima parte dei quali
cattolici.
Le ricordo che questi crimini contro gli ebrei si sono consumati
grazie ai concordati e alle collaborazioni con i regimi nazisti e i fascisti
della Chiesa e all’assordante silenzio col quale Pio XII li ha accompagnati.
Le ricordo che i criminali fascisti che approvarono le vergognose leggi
razziali erano cattolici, e non atei, agnostici o relativisti
Le ricordo che Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, disse
che “tutti gli assassini dell’Olocausto erano cristiani, e che
il sistema nazista non comparve dal nulla, ma ebbe profonde radici in
una tradizione inseparabile dal passato dell’Europa cristiana”: quelle
stesse “radici” alle quali -soltanto per ragioni di coscienza sporca- vorreste abbinare
oggi quelle “giudaiche”.
Le ricordo che Pio XII ha accreditato
e ricevuto regolarmente, negli anni 1942-43, il dittatore Ante Pavelic, un
cattolico praticante responsabile, assieme agli ustascia cattolici Croati,
dello sterminio nei campi di concentramento di circa 300/600.000 tra serbi
cristiano-ortodossi ed ebrei. Le ricordo che il più famigerato lager era quello
di Jasenovac e che il suo comandante fu Miroslav Filipovic, un frate
francescano noto con l'appellativo di "Bruder Tod" (sorella morte).
In questo campo gli ustascia cattolici hanno bruciato le loro vittime nei
forni, ma vive, diversamente dai nazisti che, almeno, le uccidevano prima col
gas. Molti degli ustascia erano monaci francescani e le loro nefandezze
suscitarono addirittura le proteste delle SS tedesche. Pio XII, ben informato
di queste atrocità, nulla fece per impedirle (A. Manhattan, The Vatican's
Holocaust, Springfield, 1986).
Le ricordo che al termine della seconda guerra mondiale il Vaticano ha
agevolato, fornendo abiti talari e falsi passaporti del Vaticano, la fuga in
Sudamerica di numerosi gerarchi nazisti, quali Klaus Barbie, Friedrich Schwend,
Erich Priebke, Adolf Eichmann, Joseph Mengele, Franz Stangl, sottraendoli alla
giustizia dei Tribunali per i crimini di guerra e garantendo loro l’impunità.
Soltanto sulla base
di questi dati storici mi riesce impossibile tollerare l’imposizione del
crocifisso: non tanto per la Divinità che esso incarnerebbe -posto che nessuno
dei miliardi di dei inventati dall’uomo ha mai torto un cappello a qualcuno-
quanto per i crimini efferati contro l’umanità che sono stati perpetrati, dai
cristiani, “in nome di quel Dio”.
Sotto questo profilo
il crocifisso è un simbolo irrimediabilmente squalificato e non degno di essere
esposto nei Tribunali, dove per legge si dovrebbero affermare gli opposti
principi della legalità, del rispetto dei diritti umani e del rispetto della
Costituzione.
La Costituzione
Italiana non “insegna” che è “giusto” invadere la Palestina e la Terra Santa con
“pellegrinaggi armati” per sterminare gli “infedeli” musulmani ed ebrei. La
Costituzione italiana non insegna che è giusto sterminare o incarcerare i
pagani, gli ebrei, gli atei, i rom, gli omosessuali e le streghe. La
Costituzione italiana non insegna che è lecito condannare al carcere o far
ardere sui roghi gli eretici e coloro che pensano che sia la Terra a girare
attorno al Sole, e non viceversa. La Costituzione italiana non insegna che le
donne sono esseri inferiori all’uomo e che, in quanto tali, non possono
accedere alla magistratura e all’elettorato attivo e passivo, come tuttora fa
la Chiesa cattolica che nega alle donne l’accesso alle cariche di sacerdoti, di
vescovi, di cardinali e di papi. La
Costituzione italiana non insegna che è lecito ed encomiabile proteggere omertosamente
e a livello planetario i preti pedofili e i criminali di guerra nazisti. La
Costituzione italiana non insegna che è lecito discriminare gli omosessuali e
bollarli, pubblicamente e con disprezzo, come “depravati”. La Costituzione
italiana non disconosce il diritto di libertà religiosa e non sanziona con l’
“apostasia” chi, dopo essere stato battezzato secondo il rito cattolico, decide
di passare ad altra religione o all’ateismo. La Costituzione italiana non
insegna che è lecito rapire i bambini degli ebrei se qualcuno, di nascosto, li ha
“battezzati” con formule sacramentali ed aspersione di gocce d’acqua.
La Costituzione italiana non insegna che è lecito condannare al
carcere o al rogo chi manifesta il libero pensiero e formula ipotesi scientifiche.
La Costituzione italiana non insegna che è lecito riciclare, attraverso
istituti di credito come lo IOR, il danaro proveniente da attività criminali e
da evasione fiscale ed opporre poi qualsiasi collaborazione con l’Autorità
giudiziaria per scoprire i criminali che vi hanno depositato questo danaro. La
Costituzione italiana non insegna che gli ebrei debbano vivere confinati nei
ghetti in quanto “razza dannata, deicidi, ruffiani ed usurai e peste
dell’umanità”. La Costituzione italiana non insegna che è lecito sterminare gli
ebrei, i rom e gli omosessuali e collaborare
fattivamente con i criminali per farli espatriare e sottrarre al
giudizio dei Tribunali internazionali per i crimini di guerra.
La storia del
crocifisso, purtroppo, gronda di sangue, di genocidi, di torture, di assassini,
di razzismo, di intolleranza, di
superstizione, di oscurantismo, di negazione dei più elementari diritti umani,
di falsità e di abuso della credulità popolare. Esporlo nei tribunali significa
condividere i crimini commessi in nome di quel simbolo, offendendo la dignità
di chi crede realmente nei valori dell'eguaglianza, della libertà, della
tolleranza, dei diritti umani e della laicità ed offendendo, altresì, la
memoria dei milioni di poveri disgraziati che sono stati assassinati,
torturati, discriminati, inquisiti, ghettizzati, prevaricati ed emarginati, in
nome di quel simbolo, negli ultimi 1.700 anni.
5. QUINTO ED ULTIMO PUNTO.
Come quinto punto riporto qui
di seguito -e sottopongo all’esame della Corte Suprema- l’ “Opinione ebraica
sul crocifisso” espressa dal Rabbino Capo di Roma prof. dott. Riccardo di
Segni, pubblicata dalla newletter Kolot
Lunedì 30 settembre 2002, ore 8:35, cioè ben prima dell’inizio della mia
battaglia.
Lo scopo è quello di
riportare l’opinione di una persona più autorevole di me che, in termini non
tecnici ma estremamente logici, ha espresso il suo dissenso nei confronti
dell’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici italiani per motivi che condivido
in toto e che coincidono con quelli da me esposti: e cioè che in un Paese
realmente “laico” gli spazi pubblici non possono essere riservati ad una sola
religione, ancorché maggioritaria. La vera laicità dello Stato comporta
l’inclusione di tutte le fedi e di tutte le culture, in regime di eguaglianza e
reciproco rispetto, senza privilegi per alcuno.
Questo è quello che scriveva, nel 2002, il Prof. Riccardo Di Segni:
“Un’opinione ebraica sul crocifisso”
“Gli antichi testi rabbinici
raccontano una storia su Rabban Gamliel (Gamaliele), l'autorevole rabbino che
difese nel Sinedrio i primi fedeli di Gesù e di cui l'apostolo Paolo si vantava
di essere stato discepolo. Gamliel frequentava le terme di Afrodite di Acco, un
luogo pieno di statue dedicate agli dei; ed era molto strano che lo facesse il rappresentante
tanto importante di una religione che rifiutava l'idolatria. Gamliel si
giustificava in questo modo: "non sono stato io ad andare nel territorio
di Afrodite, ma è stata Afrodite a venire nel mio territorio". In altri
termini, bisogna distinguere tra il territorio di Afrodite, cioè il tempio che
le è dedicato e nel quale chi rifiuta l'idolatria non deve entrare, e la casa
di tutti, come le terme pubbliche, dove qualcuno può anche averci introdotto
immagini proibite, ma non per questo diventa proibita ai frequentatori. La
posizione di Gamliel era quella del rappresentante di una religione allora
senza potere politico, che non poteva permettersi, anche se l'avesse voluto,
l'abolizione forzata delle immagini idolatriche. Cominciarono a farlo e ci riuscirono,
tre secoli dopo questa storia, i rappresentanti del cristianesimo trionfante
sugli "dei falsi e bugiardi". Da allora fu il cristianesimo a
riempire gli spazi pubblici dei segni della sua fede. Non fu un processo senza
ostacoli, perché anche nel cristianesimo l'uso delle immagini nella pratica
religiosa fu sempre causa di discussioni e divisioni; non tanto per il
cattolicesimo: e noi in Italia, dove la realtà cristiana è in gran parte
cattolica, dobbiamo confrontarci con le scelte di questa parte del mondo
cristiano così fedele alle sue immagini di culto.
Per Gamliel, che era lo
spettatore passivo dell'irruzione nel luogo pubblico di immagini che lo
disturbavano, ma contro le quali non poteva fare nulla, si trattava di decidere
se era lecito frequentare il luogo pubblico. Per la società moderna, nella
quale ogni cittadino partecipa democraticamente alla decisione collettiva, il
problema va oltre: si tratta di decidere se sia lecita l'introduzione di un
segno privato in un luogo pubblico. La questione che oggi si pone del
crocifisso nelle scuole, forse con un'enfasi esagerata, è quella dei limiti da
porre al desiderio di una fondamentale componente della società a porre e
imporre il segno della sua fede nella casa di tutti, nella quale coabitano tutte
le altre parti della società. Non bisogna dimenticare che ogni stato moderno,
per quanto laico possa dichiararsi, ha stabilito dei patti con le religioni,
maggioritarie e minoritarie, derogando più o meno dal principio dell'assoluta
separazione tra stato e religioni. Ciò che è avvenuto in Italia è il prodotto
di una storia lunga e travagliata, e ciò che non è stato ancora definito con
precisione, e che sta ai limiti delle decisioni consolidate, come il caso del
crocifisso, solleva di tanto in tanto delle polemiche, banco di prova e di
scontro tra almeno due concezioni diverse.
In questo dibattito può avere
qualche importanza conoscere gli stati d'animo e le domande di molti ebrei
italiani. Si dice che il crocifisso sia un segno culturale, e che non bisogna
rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni per un malinteso
senso di rispetto delle minoranze. E' vero che il crocifisso è anche un segno
culturale, ma non è per questo che lo si vuole nelle scuole; lo si vuole perché
è prima di tutto un segno religioso, e il problema è essenzialmente religioso.
I cattolici rivendicano con giusto orgoglio che questo è per loro un segno di
amore e di speranza, e non si capisce allora perché non debba essere presente
ovunque. Ma visto da altre parti, come quella ebraica, il senso di quel segno è
differente. Per noi è prima di tutto l'immagine di un figlio del nostro popolo
che viene messo a morte atrocemente; ma è anche il terribile ricordo di una
religione che in nome di quel simbolo, brandito come un'arma, ha perseguitato,
emarginato, umiliato il nostro ed altri popoli, cercando di imporgli quel
simbolo come l'unica fede possibile e legittima. La storia passata della Chiesa
ha trasformato quel simbolo, che dovrebbe essere di amore, in un segno di
oppressione e intolleranza. L'ultimo Concilio ha cambiato nettamente la
direzione, ma la richiesta ripetuta di occupare il luogo pubblico con quel
segno ripropone alla nostra memoria il tema dell'intolleranza. La domanda che
allora si pone a quella parte del mondo cattolico che si batte tanto per il
crocefisso è se siano tornati, o non siano mai finiti, i tempi in cui la
religione cattolica ha pensato di imporsi e diffondersi non con la
testimonianza e la pratica esemplare delle sue virtù, ma con l'invasione, la
forza, l'occupazione. Il problema che ci preoccupa è quale modello di religione
sia dietro alle richieste dei difensori del crocifisso. Come membri minoritari
di una società pluralistica continuiamo a ragionare con Gamliel, e a non
rinunciare agli spazi pubblici, subendone, se inevitabile, l'occupazione con
segni privati; come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i
limiti e i diritti di ogni religione nella società laica; come fratelli,
rivolgiamo ai fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identità,
sul loro modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante.”
Dal momento che il
presidente delle Comunità ebraiche, Amos Luzzatto, ha criticato in
un'intervista a 'La Repubblica' la mia iniziativa di appendere nelle aule di giustizia
la menorah, definendola “strampalata”', ci tengo a rappresentare al Rabbino
Capo Prof. Riccardo Di Segni che anch’io sono del fermo parere che debbano
essere rimossi tutti i simboli religiosi, piuttosto che aggiunti altri simboli.
Tuttavia, faccio notare che per condurre le battaglie legali per l’affermazione
di principi di civiltà è talvolta necessario agire “contro” le ingiustizie con atti che solo apparentemente
assumono le connotazioni della “ribellione” ma che, nella realtà, sono
legittime richieste di rispetto del diritto di eguaglianza e non
discriminazione.
Anche la “nera” Rosa
Parks di Montgomery, in Alabama, si rifiutò il 1° dicembre 1955 di cedere il
posto da lei occupato, su di un autobus extraurbano, ad un uomo bianco. Questo
atto di isolata “ribellione” contro un’ordinanza sulla segregazione della città
le costò l’arresto ma, all’esito del procedimento giudiziario, la corte
distrettuale degli Stati Uniti d’America emanò, il 4 giugno 1956, una sentenza
storica che proclamò l’incostituzionalità della segregazione razziale sugli
autobus di linea urbana e che portò poi l’America ad affermare la piena
eguaglianza tra bianchi ed uomini di colore.
Non accetto pertanto
critiche per essermi opposto, in altrettanta “solitudine”, contro l’indebita
collocazione del crocifisso nelle aule di giustizia e contro la palese
discriminazione che scaturisce dal divieto di far entrare nelle aule altri
simboli: tantomeno da parte di chi, per inerzia, ha tollerato e tollera ancora
questi soprusi cattolici.
I crimini contro l’umanità -come la shoah, le
torture, il carcere e i roghi inflitti ad eretici, streghe e liberi pensatori-
non sono da imputare soltanto alla malvagità di chi li ha perpetrati, ma anche
alla codardia di chi, potendo agire e/o levare il proprio pubblico dissenso, li
ha tollerati, ha taciuto e non vi si è mai opposto. L’inerzia è la virtù dei codardi.
Scriveva Bertolt Brecht: “Prima vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubavano. Poi
vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi
vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi davano un po'
fastidio. Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi niente perché non ero
comunista.Un giorno poi vennero a prendere me, ma non era rimasto più nessuno
per protestare.”
Rimini, li 17 maggio 2013
Luigi
Tosti
[1] Tuttavia,
anziché invitare il Ministro di Giustizia e rimuovere i crocefissi -oppure a
sollevare un conflitto di attribuzione davanti la Consulta- la Corte ha reputato
che “la
tutela di detto diritto poteva agevolmente essere garantita mediante la
celebrazione del processo in altra aula della Corte, priva dei predetti simboli”.
[2]
A supporto di tale
pronuncia la CEDH ha richiamato l’art. 3 del D.P.R. n. 216/2003 che, recependo
la direttiva n. 78/2000/CE (art. 4), ha disposto che “nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio
dell'attività di impresa.... non costituiscono atti di discriminazione
ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento, basate sulla
professione di una determinata religione o di determinate convinzioni
personali, che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre
organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni
personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti
o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano
requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle
medesime attività.”